Il PCI avrebbe compiuto 100 anni il 21 gennaio scorso; Ambrogio Vaghi sta seguendo a ruota e il 25 gennaio compirà 94 anni. Numero simbolo di nuove opportunità. Difatti lui è in grande forma, con tasso di ironia e brillantezza immutati da anni. Più attivo che mai ha deciso di ridurre qualche impegno, autosospendendosi ad esempio dalla carica di tesoriere di Socrem, Società per la Cremazione di Varese, di cui è stato a lungo validissimo Presidente, anticipando furbescamente una dichiarazione del Consiglio Direttivo della stessa Socrem, che, valutatolo come soggetto inossidabile, stava avviando un’indagine interna, sorretta da eminenti cartomanti ed astrologi, per stabilire se Vaghi sia pure incombustibile ed espellerlo di conseguenza da membro di una società per la cremazione per evidenti motivi di incompatibilità.
Si ride per mantenerci giovani. Ambrogio Vaghi è stato ai vertici di Coop e di Coop Lombardia; era persona di spicco nel PCI (gli furono offerte sicure elezioni alla Camera e al Senato, da lui rifiutate). Già capogruppo in Consiglio comunale a Varese, è stato uomo di peso nei Consigli di amministrazione di molte società, acquisendo via via fama di fustigatore nei collegi sindacali di enti e cooperative dove veniva anche chiamato per creare e ricreare ordine.
Il Vaghi pubblico non ha però bisogno di presentazioni; lui stesso ha scritto e ricordato su queste pagine, anche recentemente, di gioventù, di guerra, di vita politica nel PCI del dopoguerra e dei suoi cordiali rapporti con esponenti di forze politiche distanti dalla sua. Sappiamo, abbiamo letto, possiamo rileggere.
L’Ambrogio privatissimo ed ironico, abbandona l’aplomb di circostanza ed è allora che ad esempio non disdegna il citare, declamare, con quel sorriso sornione che ti costringe a ridere prima ancora dell’immancabile succoso finale. “Questa non la sai…” e si ride prima dell’inizio della storia, godibilissima, spesso in vernacolo, dove il meneghino prevale.
Dei racconti di una vita così ricca e felice non si scorda quello delle “monellate” dell’Ambrogio ragazzo a Vespolate, nel Novarese, dove era nata mamma Ernesta e dove i nonni tenevano la cascina. Storie vissute tra rogge e risaie, catture di rane, rapine nei nidi degli aironi e poi la pesca nell’Agogna; e il cibo sano del novarese, del Gorgonzola, vera terra santa per i buongustai.
Poi c’è Milano, la sua vita da studente, nell’Osteria gestita dai suoi in via Padova 100, vicino alla ferrovia e al trotter dove ancora giravano i cavalli, ed intorno alle corse “la vita de’ margiass, macelar e marussée”, con tentativi di dopaggio degli equini a base di grappa e di marsala miscelate nell’acqua dei secchi, perché la Scienza, come ben sappiamo, aiuta. L’osteria vicina ai campi di bocce prosperava col menù fisso del venerdì e del sabato. Già lo rivedo trattenere il riso, con un certo tono da maître di locale alla moda, sguardo perso: “Gervàs, il venerdì lo chef proponeva sempre il miglior piatto: pesce veloce del Baltico in pasticcio di mais. Insomma, per capiss: pulenta e merluss”. Il sabato un cartello affisso alla porta annunciava “Oggi trippa”. La grappa arrivava in damigiane dalla Bergamasca.
Chissà se queste “panzaniche” l’Ambroeus le avrà raccontate all’amico Gianni Rodari, che avrebbe anche lui compiuto 100 anni nel 2020, col quale ha lavorato a Varese nella redazione del giornale del partito, l’Ordine nuovo.
A volte capita di avviare la carburazione: si parte, ad esempio, chiacchierando seriosi di slavi, di Ucraina, di Dniepr, di ortodossi e dell’importanza di san Cirillo nell’alfabetizzazione degli slavi, di traduzione del Vangelo, di cristianizzazione della grande madre Russia, ma dura poco.
Si finisce ricordando anche non meno famose imprese attribuite al Nostro, in ambiente goliardico, utili per il settimanale ricarico di endorfine e per un allenamento della memoria. Che non ami la retorica e la pomposità dei tromboni è evidente quando con ironia occupa lo spazio scenico con grande teatralità ed intona, si fa per dire, senza fiato come è sempre stato dopo i 20 anni, qualche famosa aria, ricordo fresco di tante sue frequentazioni scaligere. Rossini, Verdi e Mascagni: pesca da lì.
‘Sta sira alla Scala ghè la prima, la Butterfly. Sentiremm cantà la famusa aria: La’ in mezz al mar ci son camin che fumano”. Le citazioni sbagliate piuttosto che le traduzioni popolari dal meneghino all’italiano maccheronico son altri sistemi per alimentare la necessità, vitale, di allenare l’ironia.
Non è sempre festa: la memoria corre agli anni dello studio, della scuola e della Resistenza vissuta da studente, con facilità di movimento e quindi di collegamento, in bicicletta. Gli anni magri della guerra, i bombardamenti. Son storie drammatiche, di lotta, di grande coraggio e di fermezza, non meno salutari delle altre.
E poi c’è il Vaghi in giro per il mondo, in Nord America, Messico, Brasile. E poi la Cina, il Giappone, le Filippine. L’Europa l’ha girata anche in auto in ogni angolo con predilezione per gli amici cechi a Praga, fuggiti nel 1968 in Usa, dove han fatto fortuna e che ancora gli scrivono. Viaggi documentati con lunghi filmati ed una serie infinita di foto da far invidia ad un professionista. Son appesi qua e là a Induno, all’ASFARM dove vive ora, tentativi non modesti di pittura, con qualche riferimento a Morandi, che l’Ambroeus definisce con autoironia “le mie somme opere d’arte”. Necessita un’altra vita, ovviamente, per raccontare tutto.
La politica, il partito, la Coop sono le sue altre famiglie dove ha cresciuto e formato una pletora di figliocci alla sua scuola.
Figliocci che non disdegnano di andarlo a trovare a Induno col rispetto dovuto e magari per chiarire le idee e sentire consigli mai banali: Fabrizio, Davide; Roberto, Alfredo, Andrea, Fiorenzo, tra questi.
Pochi sanno della grande magnanimità di Vaghi e va bene così. Ad occhi vigili non sfuggiva l’Ambrogio privatissimo, tenero e attento con la sua Elsa, la compagna di una vita che nel 2020 se n’è volata via in silenzio. Adesso si guarda avanti, si torna in pista, ci sono nuove sfide politiche in arrivo. Ambreous, tant’inguri.
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