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Società

BUONI MAESTRI

DEDO ROSSI - 22/01/2021

maestriCi sono giorni in cui, senza un apparente motivo, ti trovi a pensare di avere avuto la fortuna di aver trovato sulla tua strada dei buoni maestri. Tutti abbiamo avuto momenti in cui la vita avrebbe potuto andare di qui o di là. E proprio in questi momenti sono comparse, per un misterioso meccanismo, persone che hanno cambiato il corso degli eventi. O, se non proprio cambiato, persone che hanno dato un senso, un pensiero, uno spunto, quel qualcosa di cui sappiamo ora, con gli occhi della distanza, che era proprio quella cosa di cui avevamo in quel momento bisogno.

Sono stati questi, i maestri.

Ognuno ne può dare la lettura che crede, adatta alla propria storia, al proprio pensiero. Eppure tutti abbiamo avuto questi incontri. E solo il distacco dato dagli anni ci permette a distanza di cogliere quanto questi incontri fossero stati davvero fondamentali e di quanto, al momento, non avessimo colto questa importanza.

Ognuno ha i suoi, chi nella vita professionale, chi nella vita di ogni giorno, chi nel bagaglio delle proprie idee. Ma farne ogni tanto memoria, prendere atto dell’esistenza di maestri e con un pensiero di passaggio ringraziare non sarebbe poi male.

Lascio nella discrezione della mia memoria i dettagli dei miei casi personali. Eppure, sia pure solo sfiorandole, ricordo alcune persone. E a tutte queste persone ho il rimpianto di non aver mai fatto loro sapere, con la giusta intensità, quanto siano state fondamentali nella mia vita. Per questo, per quanto possa valere il mio invito, ricordatevi di dirle sempre queste cose, senza pudore e senza rimandarle.

Ho avuto buoni maestri, dicevo. Alle medie dai Salesiani, don Alfonso Minonzio. Al liceo i professori Remigio Colombo e Raimondo Malgaroli, per fare altri due nomi. All’Università lo psicanalista Cesare Musatti o lo storico Franco Catalano. E prima ancora all’oratorio di Biumo Inferiore da ragazzo, don Vincenzo Cavenago che aveva cercato di capire come gli oratori degli anni sessanta potessero rispondere con armonia davanti alla nascente elitaria macchina da guerra di Gioventù Studentesca, perché non venissero esclusi da quella proposta educativa tutti gli adolescenti lavoratori che GS, per sua natura, ignorava.

E potrei continuare. Ad ogni riga vengono in mente nomi, situazioni, volti. Ad esempio padre Giancarlo Rinaldi, un passionista avvocato di Rota, capace di leggere i tempi e gli uomini. Dal suo ufficio a Milano, vicino a quello del cardinal Martini, ci si affacciava sulla Banca dell’Agricoltura che qualche anno prima avevamo visto squarciata poche ore dopo l’esplosione delle bombe. Avevo passato con lui ore di parole, anche quando per ragioni rimaste a me sconosciute, era stato trasferito a Desio, in una sorta di periferica punizione, per occuparsi della “pastorale dell’Autobianchi”. Mi aveva scritto una frase di Turoldo, suo amico: “L’ideale della mia vita fu quello di scrivere e testimoniare tanto da fratello di chi crede quanto da fratello di chi cerca”. I maestri fanno questo. Regalano frasi.

E anche dopo, da adulto e più avanti ancora, la vita è stata ricca di persone che hanno aiutato a leggere le cose, a distinguere quelle per noi fondamentali, quelle che rispondevano al nostro bisogno di assoluto. Ecco, i maestri erano questi, quelli che aiutavano a creare domande, quelli che davano gli stimoli quando i momenti difficili creavano bivî da decifrare. Abbiamo saputo ringraziare?

Ricordo una frase di Dante Isella, sul finire degli anni Novanta, che raccontando la sua esperienza in Svizzera nel 1944 aveva detto: “Sentivamo il bisogno di verità minime, ma certe; di maestri capaci di trasmetterci una scienza severa e di iniziarci a idee e a strumenti con i quali riprendere una storia”. Certo, si riferiva alla ripresa dopo l’inganno del fascismo. Ma il “bisogno di maestri capaci” è una necessità di ogni tempo e di ogni storia personale. Di ogni età, anche in un tempo strano come il nostro.

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