Conte non cade fracassandosi, secondo l’aspettativa di Renzi. Inciampa, barcolla, resta in piedi. Trova appoggi in Senato, dove gli basta la maggioranza semplice. Ne ha bisogno d’altri a breve, necessitando la maggioranza assoluta per il varo di misure cruciali. Possibile che li riceva. Sia dai residuali alleati, sia dall’esterno. Ma il patto di legislatura preteso da Pd, Cinquestelle e Leu dovrà esser messo nero su bianco, con il ripescaggio renziano. Se non di lui medesimo, d’una quota dei suoi.
Di nulla ci sarà da stupirsi. Sul piatto spiccano gl’investimenti per il Recovery Plan, la nuova legge elettorale, l’elezione del presidente della Repubblica. Eccetera (mica un eccetera di quisquilie). Si andrà al sodo, provando a stemperare contrapposizioni, screzi, perfino ingiurie. Nessuno dei vecchi/nuovi sodali, per primo il Rignanese, ha interesse alle elezioni anticipate, l’Italia nemmeno: sarebbero una sciagura. Dunque, bongré malgré, l’intesa ha da essere stipulata.
Di quale consistenza, dipenderà dalle torsioni angosciose dei parlamentari d’Italia Viva. La scelta d’astenersi a Camera e Senato ha evitato che il gruppo si spaccasse, con esiti imprevedibili. Se messi di fronte al sì o no al governo, anziché al ni, alcuni avrebbero frenato, ritornando all’ovile Pd nelle cui file furono eletti l’anno 2018. Ciò che spinge Renzi a presentarsi a un tavolo di confronto, se Conte glielo chiede.
Glielo chiederà? No, qualora il numero dei costruttori/volenterosi aumentasse, sull’esempio dei due strappi verificatisi in Forza Italia e nell’ipotesi d’una accettazione da parte dei Cinquestelle del drappello Udc, nonostante il suo leader sia ‘saltato’ causa inchiesta giudiziaria. Ma il presidente del Consiglio dovrà garantire sulla coesione della platea di supporter, e il modo gliel’ha indicato Mattarella: creare un neo-gruppo parlamentare. Altrimenti guadagnerà considerazione: 1) o l’idea d’una serenissima retromarcia, cioè governo Conte ter; 2) o quella d’un esecutivo tecnico di transizione con voto entro giugno.
Può succedere per evitare la 1 e la 2 che M5S e Pd sacrifichino il premier e rifacciano un governo di domani con la maggioranza di ieri, affidandone la guida a una new entry? Non va escluso. Conte ha ottenuto la difesa che meritava, ma Zingaretti e Di Maio sono indisponibili a farsi sottrarre milioni di consensi se, deciso di riaprire le urne, l’inquilino di Palazzo Chigi attrezzasse una lista da Avvocato del popolo italiano. I sondaggi la collocano in zona centrista stimandone il peso attorno al quindici per cento, tutti suffragi ex democratici ed ex cinquestelle. Specialmente ex democratici. Un guaio.
Ecco la ragione aggiuntiva del pronostico -non del tutto campato per aria- d’un embrassons nous sgradito e tuttavia imposto fra gli ex litiganti. A Renzi importa di non sparire, a Conte d’infilarsi tra i candidati nel 2022 al Quirinale o ad altri incarichi istituzionali, ai partiti di ritrovare la perduta centralità. E di non suicidarsi nel servire alla destra la più clamorosa delle palle-gol: gestire il rinascimento dell’Italia con la miliardata di soldi europei. Una destra che, confinata all’opposizione, regalerà pezzi di sé stessa alla sinistra. I mezzi in arrivo giustificano il fine d’un esercito di peones: primum vivere, come spiegò Craxi a Berlinguer.
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