Vincenzo Vela (Ligornetto 1820 – Mendrisio 1891) inizia a lavorare come scalpellino nelle cave di Besazio e da subito mostra grande talento perciò viene avviato a frequentare la scuola di Brera. Nel 1834 raggiunge il fratello Lorenzo, esperto di ornato, a Milano, dove studia e insieme lavora nel cantiere del Duomo. La vittoria al Concorso Veneziano del 1842 consolida il suo prestigio e fioccano le committenze private; sempre più ampio è il consenso di critica e di pubblico. Ma a Milano si scontra con una realtà che gli è estranea; l’Austria è sì ‘un paese ordinato’, ma è anche il paese che domina sull’ex Ducato di Milano con disposizioni liberticide, favorendo il progresso dell’Impero con misure economicamente svantaggiose per i sudditi Lombardi.
All’apice del successo milanese, lo scultore rifiuta il prestigioso titolo di socio dell’Accademia di Brera, per non trovarsi a sedere in un consesso in cui lui, nato e cresciuto nella Confederazione elvetica dove ‘il popolo sovrano gode della libertà’, sederebbe accanto ai rappresentanti del Governo austriaco a Milano, al generale Radetzky, al Governatore Strassoldo – Grafenberg, al Comandante Gyulai, al conte filo-austriaco Ambrogio Nava.
Da uomo pragmatico, perciò, si trasferisce a Torino capitale del Regno che i patrioti lombardi definiscono ‘terra di libertà’ perché la libertà c’è davvero: è il 1852 e in Piemonte vige lo Statuto concesso da Carlo Alberto nel 1848. All’artista viene offerta la cattedra di scultura all’Accademia Albertina che subito accetta e terrà sino al 1867.
‘Nella rivoluzionaria capitale sabauda il Vela trova un ambiente culturalmente vivace e diventa scultore ufficiale di casa Savoia’, tra il 1852 e il 1867 lavora per la committenza pubblica e privata. Tale è la mole di lavoro che apre ben tre atelier.
Nel 1867 lascia Torino e si trasferisce in Canton Ticino nella villa di Ligornetto, progettata da Cipriano Ajmetti architetto del Duca di Genova, che diviene dimora di famiglia e sarà poi donata al Cantone dal figlio dell’artista, Spartaco, nel 1898.
Vincenzo Vela fa della sua arte lo strumento per esprimere i suoi ideali di libertà, fissandoli nel marmo, come nel celeberrimo ‘ Spartaco’. Per l’artista Spartaco è l’archetipo dell’Uomo libero – il modello preparatorio dell’opera in gesso, custodito al Museo Vela, è alto ben 208 cm – che incarna l’eroismo di chi non si rassegna alla schiavitù cui è stato ridotto, che guida la rivolta contro gli oppressori, che paga col prezzo della vita, indegna di essere vissuta in catene.
Usa un linguaggio realistico ‘arricchito con la lezione naturalistica di Lorenzo Bartolini e la pittura romantica di Francesco Hayez’ per ritrarre sovrani e aristocratici nelle statue celebrative che hanno tratti domestici e familiari e per le quali sceglie con cura la posa caratteristica di ogni soggetto.
Con impegno civile e politico ritrae ‘il volgo disperso che nome non ha’ facendolo diventare protagonista di celebrazioni scultoree: sono le anonime vittime del lavoro cadute durante la costruzione della galleria del San Gottardo o i minatori segnati dalla fatica o gli uomini che trasportano su una barella il compagno morto sul lavoro che ha i tratti dell’artista.
Nel 2020 ricorre il centenario della nascita di Vincenzo Vela. Nell’occasione sarà resa disponibile l’applicazione smARTravel, che rende fruibili quattro itinerari che raccontano la vita dello scultore attraverso i luoghi che lo hanno visto protagonista: Milano, Torino, il Canton Ticino e il parco del Museo Vela.
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