L’anno che si è appena concluso ha rappresentato un periodo infausto per molte aziende che si sono trovate ad affrontare difficoltà e situazioni impreviste, con poche risorse, non solo finanziarie ma anche cognitive, e grandi incertezze per il futuro. Il famoso acronimo VUCA con cui qualche anno fa abbiamo imparato a definire il mondo che ci circonda (Volatility, Uncertainty, Complexity e Ambiguity) non è più un ornamento criptico del concetto di realtà ma ci appare in tutta la sua efficacia semantica.
Gli eventi politici, economici e biologici che hanno caratterizzato la fine del primo ventennio del XXI secolo hanno messo a nudo l’insufficienza degli strumenti cognitivi a disposizione di imprenditori e manager per sviluppare e perseguire strategie sostenibili, nonché delle risorse per affrontare difficoltà e incertezze. Si stanno sviluppando ambiti di ricerca orientati a rafforzare la capacità di visione del futuro, in particolare i Futures Studies. Il tema a livello sociale, politico ed economico è talmente importante che all’università di Trento è stata istituita una Cattedra UNESCO per i Sistemi Anticipanti. L’insoddisfazione verso la formazione manageriale, per sua caratteristica rivolta a fornire certezze ed euristiche, impone di riflettere sui suoi stessi fondamenti e richiama le università in primis alla propria responsabilità nella formazione della classe dirigente.
Tecniche manageriali e metodi consolidati, come il Lean Six Sigma, ma anche virtuosi modelli economici, validi in condizioni di relativa stabilità, come l’economia circolare, non sembrano garantire in qualunque circostanza i risultati sperati e non hanno modalità di applicazione univoche ma richiedono valutazioni e bilanciamenti tra effetti di breve e lungo periodo, in condizioni di assoluta incertezza. In altre parole, tutti questi strumenti aiutano a interpretare e gestire aspetti specifici ma non regalano soluzioni universali, buone per tutte le stagioni. E ogni giorno si deve ricominciare….
E allora, quando formule taumaturgiche e audaci riti apotropaici non funzionano più, che fare?
Si entra nel dominio dell’etica, della responsabilità delle scelte di comportamento di fronte all’incertezza di ciò che è bene per l’azienda, per gli stakeholder, per la società nel suo complesso. Sembrerebbe che non esistano ancore per imprenditori e manager: solo dubbi, incertezze e il peso della responsabilità. Del resto, se la pretesa è quella di controllare tutte le variabili che entrano in gioco, la sfida è decisamente impari perché la nostra realtà (e specificamente quella delle organizzazioni) è un costrutto umano che si modella in relazione ai nostri comportamenti e alle nostre percezioni e reagisce combinandosi con una pluralità di azioni e retroazioni individuali e collettive.
Proprio nei contesti di maggiore complessità emerge la necessità di sviluppare strumenti di discernimento e rafforzamento della capacità di decidere e di assumere responsabilità. Il concetto di discernimento, che ha la sua radice nel Nuovo Testamento ed è stato sviluppato nelle opere di molti autori spirituali della secolare tradizione cristiana, tra cui San Ignazio di Loyola, è quanto di più attuale e utile si possa immaginare per riflettere laicamente sui ruoli manageriali e imprenditoriali.
Non è assolutamente una prerogativa di manager e imprenditori credenti. Al contrario, la riflessione va ben oltre perché il concetto di discernimento ha un fondamento antropologico: riguarda la scelta del bene e del male e dunque la sopravvivenza stessa della società e delle sue articolazioni, come le organizzazioni e, tra queste, le aziende.
Discernimento significa coraggio di calarsi nella realtà ed evolvere con essa. Nella Lettera ai Romani (12,2) San Paolo scrive: “Non conformatevi a questo mondo ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. Per il cristiano, il bene viene da Dio; per chi non crede c’è un’ulteriore difficoltà, ovvero l’onere di definire ciò che è bene a prescindere da un valore trascendente. Ma entrambi, credenti e non credenti, hanno la responsabilità di partecipare a questo mondo e di rinnovare il proprio modo di pensare per capire ciò che è buono nello specifico contesto. Entrambi vivono la fatica di comprendere e interiorizzare ciò che è bene, entrambi vivono il dubbio della propria scelta, soprattutto nelle decisioni che ipotecano definitivamente il futuro. Ma ragione e coscienza sono patrimonio di tutti, credenti e non credenti, che possono così ritrovarsi su una base comune di decifrazione del bene fattibile.
Il discernimento verte non solo sulla scelta tra bene e male ma soprattutto sulla concretizzazione del bene nella pluralità e complessità delle variabili situazionali non sempre controllabili dal soggetto agente. Per questo molto spesso non è possibile compiere il bene totale ma solo il bene possibile.
Scriveva il Cardinal Martini (2012) che, nella vita, la vera scelta nasce dalla prova, anzi il discernimento avviene “nel pantano, nella notte, nella fatica, in queste condizioni conta il resistere”. Questa immagine ben rappresenta le situazioni di difficoltà che manager e imprenditori spesso affrontano, anche quando la legalità diventa una scelta coraggiosa.
Non ci sono risposte facili, il dubbio assale davanti a decisioni imprenditoriali e di comportamento inconsuete ma mediante il discernimento si entra nella prova e si trova il coraggio di “giocarsi”, nella consapevolezza dell’inadeguatezza tra quanto operiamo e quanto dovremmo operare. La responsabilità sociale d’impresa è proprio questo: l’accettazione reale del valore sociale dell’impresa e la realizzazione di una scelta di bene comune, mettendo in gioco energie, risorse, interessi, senza poter tornare indietro.
Dunque il discernimento come metodo di vita e prassi professionale, per affrontare ogni giorno le sfide cariche di incertezza che la gestione strategica e operativa impongono a imprenditori e manager, per accettare con serenità i propri limiti e guardare agli errori costruttivamente riconoscendo che da soli non si va da nessuna parte. E nel discernimento nasce la forza di “giocarsi”, cioè il mettere in conto l’imprevedibile: come scriveva il Cardinal Martini, c’è anche un pizzico di irresponsabilità nell’andare al di là di ciò che è garantito, un gusto dell’avventura che l’imprenditore conosce bene.
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