Alla fine potrebbe succedere: Giuseppi frega i due Matteo, credutisi i più ‘fichi del bigoncio’. Nell’estate 2019 Salvini azzardò: crisi di governo nella certezza d’andare al voto e fare l’en plein, gli evocati pieni poteri. Missione fallita. Fu Renzi a costringere Zingaretti alla trattativa con Grillo-Di Maio, e nacque l’esecutivo giallorosso dopo quello gialloverde. Nell’inverno 2020-21 è Renzi a dar la mano di poker. Fa dimettere le ministre Bellanova e Bonetti, sicuro che né ci sarà un anticipo di voto né spunterà un gruppo di ‘responsabili’ a sostituire Italia Viva nel sostegno al premier. Dunque, godrà lui d’un profilo più alto e di gratificazioni istituzionali. Missione idem fallita.
Al Conte 1 e al Conte 2 è possibile, e anzi probabile, che succeda il Conte 3. L’avvocato del popolo italiano, divenuto per caso presidente del Consiglio, si va dimostrando uno smagato tattico, se non un cinico stratega. Oltranzista del trattativismo, ha fatto fuori un Matteo e prova a far fuori l’altro. Alla burbanzosa coppia, che se ne considerava esclusiva depositaria o pressappoco, l’ex dilettante ha sfilato da professionista l’astuzia machiavellica. Se coronerà il suo disegno di resistenza -che prevede l’attrezzarsi in Parlamento d’un gruppo di neosostenitori a surroga della defezione d’Italia Viva- Conte affiancherà De Gasperi, Moro, Rumor e Andreotti nell’areopago dei titolari di tre mandati consecutivi a Chigi. Non basta il caso a spiegare un record simile, se record sarà.
D’altra parte solo ai distratti sfugge che Conte s’adopera da tempo a cucire una ‘rete dei cattolici’ così da superare la soglia del ‘fronte progressista’. Qualche mese fa, nel meeting “Essere mediterranei. Fratelli e cittadini del Mare Nostro” organizzato dalla rivista Civiltà cattolica, il presidente del Consiglio -che aveva al fianco il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin- spiegò la trasversalità del progetto. Riformare includendo, riunire il maggior numero di sensibilità, creare un’area innovatrice senza marchiarla d’anticonservatorismo.
Qualora salvasse la legislatura, il capo del governo trasformerà la pattuglia dei ‘responsabili’/’costruttori’ nel nucleo originario d’un personale partito. Il PdC. Il Partito di Conte. Altrimenti, e con prossima ufficialità, chiamato ‘Insieme’, per ora un’associazione ben nota al cristianesimo politico. Obiettivo: essere l’epigono della Dc, che transitò il paese dalla ricostruzione post-bellica sino all’era del bipolarismo destra-sinistra ovvero all’incipit della Berlusconeide. A ogni possibile occasione, il pluripremier celebra come maestri De Gasperi e Moro, plaude a Prodi, elogia il dialogo: cotè insostituibile d’un governante. Al modo evangelico-trasformistico: non aut aut, e invece et et. Perlomeno fin dove l’et et risulti praticabile. Conte ha imparato, oltre che una pragmatica arte delle relazioni, un tonachesco spirito comportamentale durante gli anni in cui fu allievo del collegio romano diretto proprio da Parolin. L’istituto si chiama Villa Nazareth, nome che presto potrebbe esser dato a una nuova intesa, in parafrasi di quella stretta da Berlusconi con Renzi e poi naufragata: dal Patto del Nazareno al Patto di Nazareth. Chi ci sta, ci sta.
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