Secondo il cosiddetto Catalogo di Lampria si devono a Plutarco (46-126 d.c.), il famoso autore delle Vite parallele, ben 227 scritti. Nato a Cheronea in Beozia, piccola città di provincia, da famiglia agiata, si recò ad Atene per completare i suoi studi, seguendo lezioni di retorica, matematica, fisica e scienze e i corsi del filosofo accademico Ammonio. Potè così nel 66 assistere all’incoronazione di Nerone in occasione dei giochi pitici. Ventiduenne, i concittadini lo inviarono come ambasciatore al proconsole di Acaia. Fu per la prima volta a Roma sul finire dell’impero di Vespasiano e vi si trattenne a lungo, a partire dal 94, tenendo conferenze su temi di filosofia e di morale. Studiò ad Alessandria d’Egitto, capitale della cultura. Viaggiò molto, ma non volle mai trapiantarsi dal suo luogo natio. Ricoprì cariche religiose e poté godere di autorità presso l’oracolo di Delfi (qui gli abitanti gli dedicarono un busto corredato d’epigrafe dedicatoria, che si conserva). Il suo nome figura altresì sulla base di una statua innalzata a Delfi in onore dell’ascesa all’Impero di Adriano.
Di lui è opportuno ricordare l’impegno politico cittadino in un mondo ellenizzato, inquadrato da Roma in un sistema imperiale provinciale. È nei tempi di questo scivolamento, d’attenzione provinciale alla politica delle città greche, che Plutarco vive un’esperienza di sovranità limitata, lontana dall’autonoma potenza delle città greche d’un tempo. Vi dominano ancora gli scontri e le contese, ma si ha chiara la coscienza dei rapporti di forza, la prospettiva è al massimo quella di pari dignità negli ideali e nei comportamenti, laddove i problemi essenziali del territorio sono pure affrontati con sagacia e impegno.
L’occasione del trattatello che si vuol presentare, i Consigli politici, composto poco dopo la morte di Domiziano, è data a Plutarco dall’imminente assunzione di un ruolo politico a Sardi di uno sconosciuto Menedemo, superata l’età minima per l’accesso alle pubbliche cariche. Alla luce del sistema vigente dei partiti e delle loro lotte implacabili, questo il monito istruttivo impartito dal nostro autore: “un capo popolare dell’isola di Chio, Demo, non consentì ai suoi, dopo la vittoria, di scacciare gli avversari. Lo faccio – dichiarò – per evitare che, dopo esserci liberati, cominciamo a scontrarci al nostro interno”.
Queste altre massime intervengono: per l’attività politica sia base stabile e sicura una scelta che si fondi sul giudizio e sulla ragione, non un fuoco di paglia dettato da vanagloria o amore di contesa o mancanza di altre attività. Chi non ha nulla di buono da fare in casa passa la maggior parte del tempo in piazza. Se non si ha nulla da fare di personale degno d’attenzione, altri si gettano nei pubblici affari per passatempo. Né bisogna volgersi alla politica per desiderio di imbrogli o di lucro. Chi scende con preparazione e discernimento nella politica, molto serenamente e con misura governa gli impegni e non si tormenta per nulla, giacché ha come fine delle proprie azioni il bene e null’altro. Chi fa politica si armonizzi con i costumi ricorrenti e li tenga bene in considerazione. Una volta che goda di forza e di credibilità tenti di armonizzare il carattere dei cittadini e li conduca senza timore verso il meglio, come se li tenesse con accortezza per mano. Quelli che si occupano di politica non solo debbono dar conto di quanto dicono e fanno in pubblico, perché si indaga anche con curiosità sui loro banchetti, sugli amori, sul matrimonio, su quello che fanno di scherzoso o di serio. Anche i più piccoli difetti appaiono grandi, quando si notano nella vita dei governanti e di chi si trova in alto.
Non bisogna sottovalutare la grazia e l’efficacia nel parlare, ponendo ogni valore nella virtù. Sono di grande peso il carattere e la parola. L’oratoria di un politico non sia giovanilmente ridondante, né teatrale.
Ora che la situazione delle città non offre il comando di guerre, né trattative per alleanze, quale inizio potrebbe mai assumere una carriera politica brillante e splendida? Restano i processi pubblici e le ambascerie presso l’Imperatore, che richiedono uomini di temperamento e dotati di coraggio e assennatezza, la lealtà nell’assumere la difesa di un debole contro un potente malfattore e la schiettezza nel parlare a favore del giusto contro un despota malvagio. Chi intraprende a fare politica si scelga come guida non semplicemente chi è potente e famoso, ma chi è tale per la sua virtù.
Gli amici devono essere gli strumenti vivi e pensanti degli uomini di governo. Tu governi e sei governato, poiché la città è sottoposta ai proconsoli, ai luogotenenti di Cesare. Bisogna imitare gli attori, che aggiungono passione alla rappresentazione, temperamento e pregio personale, ma volgono l’orecchio al suggeritore e non vanno oltre i ritmi e i metri della licenza concessa loro da chi li dirige.
I maggiori beni da desiderare per la città sono la pace. la libertà, la prosperità, l’incremento del popolo, la concordia.
La gestione del governo deve tendere all’interesse esclusivo della collettività. Questa è l’ottica dell’uomo di Stato, che deve essere esperto, tecnicamente preparato ed eminentemente integro, sempre tenendo l’occhio fisso ai calzari dei Romani, che stanno al di sopra del tuo capo.
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