Nonostante il divieto la capitale ha salutato il nuovo anno con grandi fuochi d’artificio. Dall’Aurelio alla Tuscolana, da Valle Aurelia al Torrino, dalle Colline Fleming a Tor Bella Monaca pochi si sono tirati indietro. Ma è stato strano. Anziché iniziare un quarto d’ora prima e finire, magari, mezz’ora dopo, i romani hanno concentrato i botti intorno alla mezzanotte. Vuoi per i meno soldi a disposizione, vuoi per la paura dei controlli.
Così alle ventiquattro Il cielo si è illuminato di colori per una decina di minuti e le tenebre per un po’ si sono diradate, lasciando la speranza di un’alba ormai prossima.
Fuochi nella notte. Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno alla fine di un anno “let’s call it a year” come direbbero gli anglosassoni e all’inizio di dodici mesi di cui non si intravede con chiarezza la prospettiva.
Luci nelle tenebre. Persino una visita a San Pietro, sotto un cielo nero e carico di pioggia, non riesce a spezzare questo clima funereo. Il presepe nella piazza è di rara bruttezza. In un anno in cui avremmo tutti bisogno di affetto e calore, un Gesù, Giuseppe e Maria di ceramica e con sembianze vagamente extraterrestri ti aspettano sotto una pensilina di plexiglas che sembra desunta da una stazione della metropolitana. Una fredda luce bianca al neon completa l’allestimento.
Per fortuna all’interno della Basilica si torna alla tradizione con un presepe classico, meccanico. Pensato forse come San Francesco stesso avrebbe immaginato la Santa Famiglia, alla domanda “Cosa ti è piaciuto di più di San Pietro?” fa rispondere a mio nipote di cinque anni: ‘la pecora che mangia l’erba’.
Luci nelle tenebre. Pranzo con alcuni ex colleghi giornalisti di varie testate. È passato solo un anno dalla pensione ma sembra già una vita. Il discorso, come una calamita, si appiccica subito al lavoro. Come mai – domando – questa insistenza ogni giorno su bollettini, numeri di morti, contagiati? Una informazione certo necessaria ma che, se ripetuta ossessivamente rischia di produrre nel Paese un clima mortifero e nichilista. E poi, insisto, ci sono tante storie positive da scovare e raccontare: persone che, come ha recentemente ricordato il Presidente Mattarella, indicano con la loro vita una prospettiva, fanno della crisi un’opportunità. Risposte vaghe, alzate di spalle. “Nelle riunioni di redazione” taglia corto uno “è un problema che non viene sollevato”.
Luci nelle tenebre. Un caro amico varesino mi invia uno spezzone riconvertito di un filmino superotto in bianco e nero. Vi si vede, inizio anni settanta, un giovane sacerdote atletico e magro scendere a corda doppia dal campanile del Bernascone. Con la scusa di rimuovere alcuni calcinacci sul cornicione dell’edificio Don Fabio Baroncini rivendicava così davanti alla città le sue orgogliose origini valtellinesi. È mancato pochi giorni prima di Natale. Come sempre in questi casi ci si accorge di quanto una persona sia stata determinante solo quando non c’è più. Dall’alto del campanile della sua fede in Cristo ha illuminato centinaia di persone, giovani e no. “Nel frangente di travaglio che stiamo vivendo” ha ricordato alle sue esequie l’arcivescovo emerito di Milano, cardinale Angelo Scola “la società e la Chiesa stessa hanno bisogno di testimoni come Don Fabio. Questo compito adesso tocca a noi”.
Luci nelle tenebre: ecco dunque cosa ci attende nel 2021. Sotto la protezione di San Giuseppe.
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