Una volta si usava. Dare un’occhiata intorno ai luoghi e alle occasioni dove giovani promettenti quanto a basket correvano come puledrini di evidente buona razza innanzi e indietro su qualche parquet più o meno di periferia o, addirittura, su quelli più in vista e rinomati. Un po’ come cercare funghi insomma. Dove però il fogliame al suolo pur rimanendo viscido (qui per via del sudore) è meno gradevole al contatto in caduta libera rispetto al fondo dei boschi e dove gli alberi sono sostituiti da altri meno leggiadri che si chiamano canestri. Meno leggiadri fin che si vuole ma decisamente più utili e necessari per quel che concerne il basket.
Diversa l’ambientazione ma identici gli scopi. Cercare, cercare, e poi, ancora, cercare fin che si trova. E gli ambienti nel basket sono palestre, meglio ancora se palazzi o palazzetti dove, per esempio, annualmente si organizzavano meravigliose manifestazioni dedicate ai giovani come il “Garbosi” (Paolo Vittori docente) o il “Barilà”.
Da quelle parti una volta si usava cercare parecchio trovando idee, spunti. Trovandoli come funghi. Magari, appunto, come loro con la testa più chiara (Ossola) più scura (Rusconi) o magari rossa (Gergati). Proprio come i funghi.
Forse ora non si usa più, quanto meno, si usa molto in minor misura preferendo far posto all’andirivieni -dal sapore sempre occasionale e, quasi mai, locale – di nomi che hanno molto – spesso moltissimo- dello scioglilingua difficile da pronunciare talvolta anche impossibile viso che con il basket hanno scarsissime affinità.
Oggi, forse, si preferisce così. Ed è un peccato perchè il “Garbosi” con quel primo posto, negli under 14, della pallacanestro Varese di Andrea Meneghin ed il “Barilà” con il quarto dell’ABC hanno parlato ancora italiano.
Anzi varesino.
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