Le parole d’ordine per il 2021 sono semplici e incisive, come è in fondo l’apostolato di Francesco. Parole attente a ciò che accade nel mondo per reclamare pace e giustizia: il papa chiede che il vaccino sia distribuito a tutti senza distinzioni e favoritismi fra Paesi ricchi e Paesi poveri, fra terre del nord e terre del sud. Promuove la fratellanza umana e religiosa con un viaggio in Iraq, in marzo, per diffondere il messaggio di pace tra sciiti e sunniti. Annuncia il focus sulla famiglia e l’anno di riflessione sull’Amoris laetitia. Muove altri passi sulla strada della riforma della curia, travolta dagli scandali. E risponde coi fatti a chi lo considera un monarca assoluto.
Si è letto di tutto sui giornali di fine anno, in particolare il doppio violento attacco al papa di Ernesto Galli della Loggia. L’editorialista del Corriere dà fuoco alle polveri (30 dicembre 2020-3 gennaio 2021) sollevando il caso della democrazia e della tutela dei diritti all’interno del Vaticano. Senza giri di parole, accusa il papa di gestire un potere “assoluto, arbitrario e incontrollato”, di schiacciare i diritti della persona e d’imporre una giustizia non indipendente sul caso Becciu. Biasima il silenzio di Francesco sulla gestione di quello che a suo parere è il declino della Chiesa, si chiede se lo sviluppo del cristianesimo sia nelle “misere plebi” del Sud del mondo e attacca il “compromesso cristiano-comunista con la tirannide cinese”.
Poi affronta la questione femminile. La critica al papa, sorprendente, è di non curarsi della “assoluta e continua esclusione delle donne” dai ruoli di potere e dalle cariche che contano nelle istituzioni ecclesiastiche come la presidenza dello Ior (l’istituto per le opere religiose), il Governatorato e la Segreteria di Stato. “Se le cose stanno così – sibila – mi risulta abbastanza incomprensibile come il papa possa essere definito innovativo, progressista o addirittura rivoluzionario”. A stretto giro di posta gli risponde sulle stesse pagine del Corriere (3 gennaio 2021) l’arcivescovo Bruno Forte di Chieti-Vasto e cita le parole del papa: “Soltanto con un forte protagonismo delle donne nella famiglia e in ogni ambito sociale, politico e istituzionale sarà possibile colmare tante disuguaglianze sociali”.
Francesco non si limita a dirlo. Egli pratica da sempre l’integrazione femminile nelle gerarchie ecclesiastiche. In agosto ha designato sei donne tra i sette laici del Consiglio per l’Economia che deve vigilare sui conti vaticani. Ha scelto docenti universitarie, manager di fama internazionale e persino l’ex tesoriera di Carlo d’Inghilterra, Leslie J. Ferrar. Nel solco della valorizzazione del “genio femminile” caro a Giovanni Paolo II, ha nominato nel 2016 Barbara Jatta direttrice dei Musei Vaticani. Nel gennaio dello scorso anno ha investito Francesca Di Giovanni del ruolo di sottosegretario ai Rapporti con gli Stati, in pratica il “ministero degli Esteri” pontificio.
Mai una donna era salita così in alto nella diplomazia di Stato. La vicedirettrice della sala stampa vaticana è una donna, Cristiane Murray. E a proposito dello Ior, nel 2018 Francesco ha indicato in Christine Lagarde, attuale presidente della Banca centrale europea, la guida ideale. La rivoluzione rosa di Francesco non si ferma qui. Pochi mesi fa ha nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze la statunitense Maryanne Wolf, scrittrice e scienziata cognitiva che insegna all’Università della California a Los Angeles. Suor Alessandra Smerilli, salesiana, docente di economia politica, è dal 2019 consigliere di Stato.
Mariella Enoc dirige dal 2015 l’ospedale pediatrico Bambin Gesù. Raffaella Vincenti è a capo della biblioteca apostolica e Antonella Sciarrone Alibrandi siede da giugno nel Consiglio direttivo dell’Aif, l’autorità d’informazione finanziaria, l’ente antiriciclaggio della Santa Sede (oggi Asif). E si potrebbe continuare. Le statistiche confermano l’impegno del pontefice. Se nel 2010 con papa Benedetto soltanto il 17% delle persone impiegate in Vaticano era costituito da donne, con Francesco la percentuale è salita al 22% nel 2019. Senza contare la Commissione messa al lavoro per studiare se e come aprire la strada al diaconato (non al sacerdozio) femminile.
Di strada da fare ce n’è tanta per completare il processo di valorizzazione femminile nella Chiesa. È un percorso lungo, complesso e controverso. Ma affermare che Francesco se ne infischia del problema è un errore. Un’altra accusa che gli viene mossa è di voler influenzare il prossimo conclave con la nomina di un crescente numero di cardinali del suo stesso orientamento. Con il rischio – la minaccia, scrive Galli della Loggia – di arrivare alle prossime elezioni con un “partito del papa” che detiene la maggioranza dei voti. È un timore giustificato? In passato è successo che a un pontefice ne seguisse un altro di idee completamente diverse. Ma non è la regola.
I tre Pio quasi successivi d’inizio ‘900 e i due Giovanni Paolo che si richiamavano espressamente a Roncalli e a Montini dimostrano la continuità libera e consapevole del magistero dei papi che li avevano preceduti. Per non parlare delle pessime abitudini dei tempi antichi, quando il conclave era un porto di mare e i monarchi cattolici europei condizionavano pesantemente, con il diritto di veto, le scelte in corso nella cappella Sistina. Una discutibile consuetudine, per non dire un vero e proprio scandalo. A cui fu messa fine solo nel conclave del 1903 quando il diritto di veto colpì il segretario di Stato di Leone XIII, il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro.
Salì al trono Giuseppe Sarto. Il neoeletto prese il nome di Pio X e cancellò per sempre l’abuso che colpiva l’elezione del capo della Chiesa universale, benché avesse già perso il ruolo di sovrano temporale. È giusto vagheggiare la Chiesa cristiano-borghese del passato? Si ha a volte l’impressione che Francesco combatta una battaglia difficile da vincere, per non dire impossibile, a causa delle resistenze interne ed esterne alla Santa Sede. C’è chi non riesce proprio a digerire che egli provi ad arginare il caos che prima di lui regnava in Vaticano e che fu tra le cause che indussero Benedetto XVI a dimettersi. Osserva l’arcivescovo di Chieti: “Questo papa non ha bisogno di difese d’ufficio, né le ama”.
E risponde a proposito del declino del cristianesimo: “Nessun credente pensante, nutrito dai testi conciliari, rimpiange le stagioni dell’Inquisizione o il collateralismo politico del passato. Riconosce anzi nella scomparsa di questi tratti un’autentica liberazione per la Chiesa impegnata nell’annuncio della buona novella. Nonostante i processi di secolarizzazione che dall’Illuminismo in poi caratterizzano l’Europa e in parte il Nord America, il bisogno e la ricerca di Dio restano sempre vivi e presenti”.
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