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MARCO ZACCHERA - 08/01/2021

tumpL’occupazione simbolica del Campidoglio USA per alcune ore da parte dei sostenitori di Trump è stato l’ultimo atto di quattro anni di una presidenza contestata da sempre da chi non aveva mai accettato la presenza di Donald alla Casa Bianca.

Un gesto dimostrativo (tacitamente tollerato dalla polizia, perché mi rifiuto di credere che poche migliaia di dimostranti possano occupare il Congresso senza un immediato e determinato intervento degli agenti) che sottolinea la spaccatura del paese, la convinzione per molti che ci siano stati effettivamente brogli ma anche l’incapacità di Trump di dimostrarli e soprattutto – se mai ci sono stati – di organizzarsi a tempo debito per impedirli.

In democrazia si vince e si perde, ma se si perde lo si deve accettare.

Radicalizzando lo scontro Trump sapeva che avrebbe portato al voto molti più avversari e quindi la sua politica non ha pagato in termini elettorali. Potrà invocare la pandemia, l’ostilità dei media, le grandi potenze finanziarie contro di lui, ma ha perso e quindi la sconfitta va accettata. Certo gli USA sono oggi un paese diviso e anche poche migliaia di voti georgiani sono stati il sipario definitivo dell’ “Era Trump”. Pochi voti di margine che hanno però assegnato ai democratici i due seggi in ballottaggio portando il Senato in parità (50 a 50) ma con il voto del presidente a poter fare la differenza. Secondo la costituzione americana il presidente del Senato (che pur – per prassi – di solito si astiene) non è elettivo, ma è il vice-presidente dell’Unione e quindi sarà proprio la prossima vice-presidente Kamala Harris a garantire a Biden la maggioranza del Congresso, visto che la Camera dei Rappresentanti è già in mano democratica pur avendo perso a novembre 18 seggi a vantaggio dei repubblicani.

Joe Biden non sarà quindi un presidente “azzoppato” e potrà contare sul voto del Congresso almeno per i prossimi due anni perché – non va dimenticato – un terzo del Senato e tutta la Camera vengono rinnovati ad ogni primo martedì di novembre degli anni pari, con la prossima puntata già fissata quindi per il primo novembre 2022.

Per noi italiani che rischiamo ogni settimana la crisi di governo e dove il richiamo al voto anticipato è una costante questa periodicità sorprende, ma ha intanto assicura continuità da 250 anni al sistema elettorale americano, proprio quello che Trump giudica “corrotto come non mai”.

Un ritornello ripetuto ai suoi fans convenuti a Washington per l’ Epifania ma che è apparso l’ultimo atto di un presidente sconfitto – visto che prove dei brogli non sono emerse – e che comunque ha prodotto una indubbia involuzione del Partito repubblicano che esce dal turno elettorale non tanto sconfitto nei voti (in fondo nessuno aveva mai preso tanti voti presidenziali come Trump) ma profondamente spaccato al proprio interno.

Con il proprio carattere ed atteggiamenti spesso eccessivamente di rottura Trump è stato capace di nascondere le cose buone che ha fatto, la netta inversione economica data agli USA prima della pandemia, i suoi successi in politica estera. Certo ha avuto contro la grande stampa, la sinistra, i centri di potere, ma ha indubbiamente fatto anche di tutto per renderseli ostili ed ha clamorosamente sbagliato anche l’approccio post voto di novembre non accettando il risultato ma contemporaneamente non dando evidenza ai possibili brogli.

Se erano prevedibili (e da lui sempre denunciate) distorsioni sul sistema elettorale postale perché un presidente che da 4 anni controlla l’esecutivo non è intervenuto prima per evitarli? E in una situazione dove i democratici mobilitavano in Georgia le componenti razziali della società, valeva la pensa di buttarla tutto sulla polemica e la contrapposizione?

I voti in Georgia hanno sottolineato che non ha pagato la linea barricadera di Trump e il suo radicalizzarsi in un elettorato che è sicuramente numeroso soprattutto nelle campagne, ma che diventa numericamente perdente nel momento in cui i democratici riescono a mobilitare per il voto le minoranze e soprattutto quelle nere, visto che gli ispanici di prima generazione sembrano invece diventati una componente importante dei repubblicani.

Così, mentre Trump urlava al voto rubato ha vinto il reverendo Raphael Warnoch, leader di una comunità religiosa nera e noto predicatore televisivo, in aperta opposizione alle chiese protestanti bianche ed integraliste che hanno invece appoggiato Trump. Anche in questa spaccatura politico-religiosa c’è una profonda novità nell’elettorato americano che normalmente porta ad iscriversi al voto (atto obbligatorio ogni volta per poter votare) solo circa la metà degli aventi diritto: se aumentano i votanti tendenzialmente vincono i democratici.

Trump un anno fa era convinto del successo e i democratici avevano scelto Biden come opaco male minore, ma prima il Covid e poi gli atteggiamenti incendiari del Presidente hanno portato alle elezioni più controverse e radicali della storia, oltre che le più care vista l’enorme somma spesa – soprattutto dai democratici – per cercare di influenzare gli elettori.

C’è un altro aspetto fondamentale: Trump ha perso, ma ha fatto anche perdere il proprio partito che in buona parte lo ha sopportato in silenzio per quattro anni ed ora cercherà di distruggerlo. Trump non è stato un personaggio facile da digerire in casa repubblicana, ha spostato su posizioni radicali il partito perdendo voti e simpatie in settori storici dell’ “Old Party” che non hanno condiviso molte delle sue posizioni. Squadra che vince non si cambia, ma quando perde la resa dei conti è inevitabile.

Alla fine Joe Biden ha giocato (e sta giocando) quindi l’accorta carta della moderazione anche perché capisce di avere comunque una maggioranza minima sia al Congresso che nel paese, oltre ad una Corte Suprema di chiara impronta conservatrice anche se sul voto ha dimostrato – come era ovvio, salvo che per qualche commentatore nostrano – la propria tradizionale ed assoluta indipendenza..

Un punto di riferimento per un’America che oggi appare politicamente divisa, smarrita ed economicamente prostrata in molti settori per il Covid che tuttora imperversa, drogata per l’andamento anomalo dei mercati finanziari che con il loro potere (e milioni di dollari) hanno apertamente aiutato Biden.

Nodi che verranno al pettine molto presto e che ora spostano tutta la responsabilità – e senza più alibi – in casa democratica.

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