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Diario

COMUNICATORE DI BELLEZZA

CLAUDIO PASQUALI - 20/04/2012

Ho curato Cornelio negli ultimi due anni visitandolo settimanalmente nel suo studio per una forma di cirrosi epatica da Epatite C contratta da trasfusioni quando venne scoperto che era emofilico e non fu subito disponibile il fattore VIII, di cui era geneticamente privo, fondamentale per il processo coagulativo.

Era un piacere andare a trovarlo in via Lumache, una casa che era un ex mulino, a fianco di un torrente che scende dal Sasso del Ferro, immersa nel silenzio con il sottofondo quasi musicale dello scorrere delle acque; con le piogge oggi quasi tropicali diventa poi cattivo ed esuberante gli argini, alza la voce con rumore assordante. La sua casa è un po’ difficile da raggiungere in auto, infatti dovevo sostare con l’auto un po’ in giù in via Tinelli e fare l’ultimo tratto in salita a piedi. Nel suo studio vi si godeva una grande pace ed un grande silenzio.

Ero in contatto attraverso la dolce moglie Vittoria con il centro emofilia di Milano e aveva sempre a sua disposizione in caso di emorragia la fiala del fattore VIII. Scoperse di essere emofilico a circa quarant’anni quando andò in pericolo di vita per una emorragia interna di cui non si conosceva la causa. Le numerose trasfusioni, se gli salvarono la vita nell’immediato, causarono un’epatite cronica C che sfociò poi in cirrosi e fu la causa del suo decesso.

Negli ultimi due anni di vita, nonostante la sofferenza, era sempre al lavoro, seduto al tavolo con le tempere, il pennello ed il righello in mano ed una grande lente d’ingrandimento. Non l’ho mai sentito lamentarsi, anche quando di notte aveva delle crisi respiratorie, al mattino mi diceva che gli era mancato un po’ il respiro. Ho potuto curarlo a casa grazie alle amorevoli cure di Vittoria che gli somministrava puntualmente le medicine e lo manteneva ad una dieta particolare. Non poteva aver incontrato una moglie migliore. A lei va tutta la mia ammirazione.

Cornelio ha lavorato sino al sabato, domenica come il Signore al termine della creazione riposò, stette tutto il giorno a letto perché era stanco e lunedì mattina rese l’anima a Dio non dopo aver ricevuto il sacramento della Sacra Estrema Unzione. Negli ultimi anni lavorava in continuazione dipingendo un’infinità di quadri di arte definita astratta. Ogni quadro lo impegnava una o due settimane in un lavoro di estrema precisione, alcune anche un mese, per sei otto ore giornaliere.

Nelle frequenti visite, mi fermavo volentieri a chiacchierare un po’ con lui e diventammo amici per reciproca stima. Mi raccontava che dopo il Liceo Artistico frequentò a Milano l’Accademia di Brera. In seguito venne assunto in Ceramica a Laveno con mansioni di disegnatore artistico e tecnico. Inoltre, a Laveno, era assistente di Mario Aubel alla Scuola Serale di Disegno, e insegnava alla Scuola di Ceramica con Ambrogio Nicolini e, infine, ormai in pensione dal 1982 per tredici anni, alla Scuola del Centro Sociale Educativo per disabili. Verso i quarant’anni dopo essere passato da tutte le esperienze pittoriche e artistiche, sia come ceramista sia come incisore e disegnatore, avvenne una radicale trasformazione: passò dall’arte figurativa all’arte astratta. Collaborò con mia moglie Alma allora Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Laveno che istituì il centro handicappati diurno, prestandovi la sua opera di artista come volontario. Anche questa scelta era in linea con la suo genio artistico che lo portava a considerare gli handicappati delle personalità con genialità inespresse e latenti.

Cornelio disegnava dei motivi artistici che i ragazzi portatori di handicap rappresentavano dipingendo su tappeti che poi venivano messi in vendita in una mostra a fine anno. Mi diceva che era un’attività che gli dava moltissima soddisfazione, credo per il suo animo molto generoso e per la sua intrinseca religiosità che emanava dalle sue opere artistiche, e perché i ragazzi rimanevano entusiasti di quanto belle fossero le loro opere rappresentate nella copia dei suoi disegni. Infatti la sua pittura astratta con motivi geometrici e pieni di colori con ripetizione ritmica di figure geometriche rimanda a un mondo spirituale al di là della realtà, dentro l’infinito determinato della geometria e della matematica, nell’armonia creativa ridondante dei vari motivi dei vivaci colori in cui prevalgono il rosso, l’arancio, il giallo in contrasto con le tracce geometriche del nero.

Ma quello che più ammiravo in lui era la estrema libertà creativa della pittura. Stabiliva delle geometrie, da cui se ne sviluppavano altre con altri colori. Cornelio inoltre era distaccato da interessi economici ed umani, non faceva mostre, benché richieste “perché non servivano”, non intitolava le opere “perché ognuno interpretava ciò che voleva”. Ha rifiutato offerte milionarie di aziende tessili che volevano impiegare i suo disegni per foulard e cravatte di seta. Ha rifiutato mostre di galleristi famosi, preferendo una vita essenziale alla ricchezza. Esistevano le sue opere come un’emanazione del suo spirito illuminato dalla luce di Dio che faceva della sua arte un’espressione della libertà, creatività, bellezza ed armonia infinita di Dio, svincolate totalmente dai limiti dell’umanità. Non si preoccupava di esibirle, non ci pensava nemmeno perché era sempre al lavoro di artista creatore di nuovi disegni con colori in nuove forme geometriche, replicate in formule matematiche indecifrabili a mente umana. Cosa voleva comunicarci? Me lo sono spesso domandato, credo che la risposta sia che voleva comunicarci semplicemente l’infinita creatività, armonia e bellezza di Dio. Ma perché durante la vita nessuno ha voluto scoprirlo e renderlo famoso facendolo conoscere a tutta l’umanità? Credo perché nessuno era umile come lui, e nessuno era vicino a Dio come lui. Mi vengono alla mente le parole del Magnificat: “esaltò gli umili e disperse i superbi”. Credo che queste mie riflessioni non siano che l’esaltazione del suo grande umile genio.

Pertanto definirei Cornelio un genio della forma e del colore. Ringrazio il Signore di averlo potuto curare e potuto conoscere la sua arte e di avere due suoi quadri nella sala d’attesa del mio Poliambulatorio, dove credo i pazienti, guardando i suoi quadri, possano trarre pace e serenità per i gravi o meno gravi problemi di salute che li affliggono. Meriterebbe una mostra permanente perché ritengo le sue opere patrimonio dell’umanità intera.

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