Mai come in questi anni santa madre chiesa ha dovuto lottare non solo con le sue straordinarie forze divine, ma soprattutto con quelle umane, quelle che riguardano il sistema organizzativo di un’istituzione globale. Una chiesa spesso in lotta con se stessa, con i propri problemi di natura umana, con diversità che nel tempo hanno rischiato di diventare insanabili. I grandi temi della sessualità, della famiglia, dell’ordine morale, della continuità e della coerenza, di una vocazione politica non sempre all’altezza della situazione, sono problemi che ne hanno messo a dura prova il confronto con un mondo meno passivo, più capace di capire il senso della fragilità e della debolezza di una delle istituzioni intoccabili, nata e cresciuta sotto l’occhio attento della cultura cristiana e del suo fondatore. Una chiesa in alcuni casi vessata al proprio interno, messa in discussione, interpretata e messa spesso davanti allo specchio, specie nelle sue parti più vulnerabili, dove spesso l’abito non è sempre in linea con il cuore del vangelo. Una chiesa che ha perso strada facendo la sua connotazione gerarchica, il suo essere sopra le parti, il suo tirarsi fuori da quella natura umana che nonostante la sua vocazione divina deve attraversare zone desertiche naturalmente impervie, dove la grazia e la fede in molti casi non bastano, perché necessitano di formazione e di educazione, di psicologia e di pedagogia, di capacità di capire se quell’idea delle origini può essere sempre valida o non soggetta all’evoluzione delle gradi trasformazioni, che pur restando vincolate al circuito umano, mutano sostanzialmente il loro modo di essere nel mondo. Forse una visione per troppo tempo scomposta, spaccata, posta sotto l’egida di una continuità priva di riflessione critica e di capacità introspettiva, l’idea che le condizioni umane fossero intoccabili e soggette sempre a volontà di ordine universalistico hanno impedito che tra il sacro e il profano potesse esistere una condizione intermedia, capace di dimensionare, dirimere, modificare, valutare, modificare, mai per contrapposizione pregiudiziale, ma per necessità storica, essendo l’uomo naturalmente vincolato alla vita terrena e alle sue condizioni. Certo non deve essere stato facile l’aver dovuto mantenere intatta una linea guida con tutte le sue ambiguità, i suoi problemi di connessione e di adattamento, non deve essere stato facile mantenere intatto nel tempo quello spirito che in molti casi finiva per diventare preda del potere e delle sue negazioni, non deve essere stato facile puntare decisamente su una continuità che perdeva spazio e credibilità nei confronti di una realtà sempre in movimento, capace di riconsiderare la storia personale e quella morale in tutte le sue forme e le sue peculiarità. Dunque una chiesa che, forse, si è lasciata un po’ andare, rafforzando l’immagine individuale, fondata molto spesso sui valori del mondo, primo fra tutti l’orgoglio, la superbia, la possibilità di poter disporre del potere a seconda della necessità di turno, senza chiedersi se l’esercizio di quel potere fosse davvero consono all’immagine di un’istituzione strettamente vincolata al messaggio cristiano. È in questo andirivieni di comportamenti individuali, diventati in alcuni casi ambigui, che è venuta a mancare quella chiesa della predicazione che aveva invaso di speranza le anime spesso vessate della gente comune, quella che della chiesa rappresenta l’anima reale, la sostanza, il terreno fertile su cui appoggiare l’amore di Cristo e la pietà di Maria. In questi anni di profonde trasformazioni sociali e anche morali, dove spesso i valori della tradizione sono stati costretti a sopravvivere come soprammobili, senza che nessuno si preoccupasse più di coltivarli e alimentarli, la chiesa si è ancora di più arroccata, ha fatto delle scelte di campo in alcuni casi troppo di parte, troppo politiche, pur sapendo che l’amore o è distacco totale, abbandono nella sua accezione francescana o rischia di scontrarsi con le ragioni di una verità a tratti più positivista, più connessa ai problemi della politica e quindi della coerenza non solo morale, ma giuridica, sociale, culturale. Nell’esercizio della catechesi di oggi si assiste a una chiesa presente, ma disorientata, politicamente confusa, divisa, incapace in molti casi di prendere decisioni univoche, titubante sulle questioni di natura morale, sospesa tra rappresentazione e realismo, tra personalismi e idealismi, tra predicazione e arroccamento. C’è qualcosa nell’aria che nega, che crea ambiguità, emarginazione, isolamento, solitudine, depressione, qualcosa che molti sacerdoti non sanno più interpretare e vivere con quella determinazione che ha contraddistinto la chiesa del dopoguerra, quella che fondava sull’educazione religiosa la forza della trasformazione morale del mondo. Oggi in molti casi il prete o segue o si lascia convincere o manca, in alcuni casi è estremamente difficile vederlo, capirlo, sentirne la presenza, soprattutto quando la gente sente il bisogno di qualcuno che le ricordi chi è Gesù, chi è Maria, quale sia il reale valore della fede cristiana. Il più delle volte l’uomo e la famiglia sono soli, abbandonati da chi, forse, dovrebbe avere il compito di fornire la chiave di lettura di una condizione, che con il passare del tempo diventa sempre più difficile. Ma la chiesa ha il grande vantaggio di essere espressione dello Spirito divino, quindi ne gode della particolare attenzione anche in tempi come il nostro, dominato dalla sofferenza e dalla malattia. Forse mai come ora torna bene in luce l’immagine di un Cristo che ci accompagna, rendendo più agevole il cammino, non facendo mai dimenticare quella lieta novella che ha la forza immensa di rigenerare, di produrre nuova fede e nuova grazia, di rimettere in cammino una umanità fortemente provata dal male e profondamente in crisi. Le grandi crisi istituzionali sono comunque crisi umane, anche quando il respiro è quello delicato e profondo dell’anima, un’anima che in alcuni casi si perde perché forse poco coltivata e raccolta, lasciata consumare tra spazi desertici mai bonificati. Oggi c’è un forte bisogno di anima e anche la televisione, la tanto bistrattata televisione, si trasforma in alcuni momenti in strumento di comunicazione cristiana, luogo dove la parola continua a convertire, ad alimentare la meditazione, la riflessione e la contemplazione, trasformando il salotto di casa in una chiesa domestica, in un luogo di preghiera, in una catacomba da preservare con molta cura. È anche così che il mondo cambia e propone un’immagine diversa della propria identità, senza peraltro dimenticare o sminuire ciò che la storia ha costruito con amore e pazienza nel corso dei secoli. Dunque comprensione per la chiesa che si rinnova, comprensione per una politica che ha bisogno di ritrovarsi, di una attività educativa che deve riattivare i propri principi e i propri valori con tutta l’autorità e la fermezza possibile, per un mondo del lavoro che possa incontrare le attese e le passioni dei cittadini, comprensione per un’Europa che ha bisogno di costruire una Costituzione che la rappresenti, che la renda unita, consapevole che la propria forza stia soprattutto nella sintesi e nella sinergia, nella capacità di coordinare le proprie forze morali, sociali, intellettuali, politiche, militari, economiche, culturali e religiose, un’Europa credibile sempre, innanzitutto educatrice di uomini e donne, di cuori, di anime e di valori. Ripensare, rianimare, ripartire, ricominciare rilancia la natura umana, la fa sentire di nuovo in pista, protagonista di una storia perché a ognuno venga riconosciuto il proprio ruolo e la propria identità morale e sociale. Dunque come affermavano i nostri vecchi, quelli che hanno pagato il contributo più alto all’attacco proditorio del nemico, non tutti i mali vengono per nuocere, bisogna sempre mantenere accesa la fiaccola della speranza e saper guardare con occhi fermi il presente e soprattutto il futuro, per essere pronti al rinnovamento. Nulla di tutto quello che è stato seminato, in particolare da santa madre chiesa, andrà perduto se l’uomo avrà finalmente il coraggio di spogliarsi delle sue negatività, del suo voler competere per affermare primati inesistenti. Solo se da parte di tutti ci sarà un profondissimo atto di umiltà e si vorrà realmente capire da che parte stia il buon senso comune, forse si riuscirà a risalire la china, ma gli errori commessi non potranno essere fatti sparire troppo in fretta, dovranno diventare il motivo comune su cui costruire un nuovo valore cristiano, su cui appoggiare quella fede che ha ridato al mondo la possibilità di non morire. Solo così, forse, la vita avrà di nuovo un senso e l’esperienza vissuta sarà servita a rinserrare le file di chi, nonostante tutto, è convinto che buona parte della felicità terrena dipenda dal rapporto che sapremo stabilire con Dio, attraverso le sue creature e attivando quella unità d’intenti che dovrà essere la base su cui costruire il nuovo che verrà. Mai come oggi abbiamo bisogno di metterci in ascolto, di sentire la carezza della fragranza cristiana, di ritrovare la via, di imparare a vivere come se dovessimo morire, è la pandemia che ci sollecita, è la malattia che riattiva un pensiero trascurato, è la difficoltà del vivere che ci aiuta a capire meglio la nostra condizione, la necessità di sapere che la vita ha sempre due aspetti, quello umano e quello legato all’eternità, quello che finisce e quello che si trasforma.
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