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Chiesa

BIANCO PAPALE

SERGIO REDAELLI - 24/12/2020

papiNon è mai stato un papa ombra, parallelo o doppio. Vive di luce propria. Non ha mai rinunciato al ministero petrino né fatto voto di silenzio, ogni giorno celebra l’eucarestia, medita, legge, si sposta sulla sedia a rotelle, invia e riceve posta. Non è uscito di scena con le dimissioni, abita all’interno delle mura vaticane e continua a indossare l’abito bianco, a farsi chiamare Santità o Santo Padre, a firmarsi Benedictus XVI Papa emeritus ed è perfettamente consapevole che ciò che scrive e dice rischia di fare da contraltare al pensiero di Francesco. Tradizione contro innovazione, ortodossia contro pragmatismo, spiritualità contro apostolato di strada.

Il suo anello piscatorio non è stato spezzato, come d’uso da secoli. Tanto è vero che il successore porta ancora quello povero, d’argento, che indossava a Buenos Aires da cardinale. Il papa emerito Joseph Ratzinger, 93 anni, aveva annunciato che si sarebbe ritirato nel silenzio e ha mantenuto la promessa, ma ciò non significa che voglia rinunciare ad esprimersi. Infatti parla, scrive e benedice ciò che altri scrivono di lui. Come il biografo Peter Seewald, giornalista e scrittore che ha spesso avuto l’onore di intervistarlo. E che ripropone la figura, il pensiero e le opere del papa emerito, bavarese come lui, in un tomo di oltre mille pagine intitolato “Benedetto XVI: una vita”.

Seewald parla del Concilio Vaticano II, di Woytjla, dei problemi della globalizzazione e, naturalmente, della convivenza dei due vicari. Un tasto molto delicato. C’è chi ritiene che un pontefice dimissionario debba perdere il diritto di parola, che la figura dell’emerito debba essere regolata con norme precise, che non sia conveniente che il mondo parli di “due papi”. E alla fine di questo accidentato 2020 non poteva mancare la polemica sullo scottante tema. Ad aprirla il cardinale George Pell, 79 anni, ex “zar” dell’economia vaticana appena rientrato dall’Australia, assolto, scagionato da gravi accuse di pedofilia, dichiarato innocente dopo 404 giorni di carcere.

Pell è un conservatore, teoricamente più vicino a Ratzinger che a Bergoglio, certo non un oppositore del papa che rinunciò alla tiara sette anni orsono. Anche per questo le sue parole fanno rumore. Nel libro “Prison journal” uscito negli Stati Uniti racconta la sua reclusione ed afferma che Ratzinger dovrebbe svestire il colore bianco papale, evitare di “insegnare” ai fedeli ed essere escluso dall’assemblea cardinalizia. Ridotto in silenzio e senza facoltà di voto per non ingenerare confusione, per non minare l’unità della Chiesa. Senza poter dire di no, per esempio, all’abolizione del celibato dei sacerdoti come ha fatto dopo il sinodo per l’Amazzonia.

O come quando, non di rado, ha dato l’impressione di non approvare la linea riformista di Francesco. Sulla rivista cattolica tedesca Klerusbatt, Ratzinger scrisse che i casi di pedofilia e gli abusi sessuali all’interno della Chiesa sono dovuti alla laicizzazione del clero, negativamente influenzata dalla società civile. La risposta di Bergoglio fu di abolire il segreto pontificio che in passato aveva coperto denunce e insabbiamenti. Per il gesuita argentino la colpa dei reati commessi dai membri interni alla Chiesa non è da attribuire a cause esterne. Al contrario, la ricetta giusta è aprire il sacerdozio a graduali opzioni innovative. Due modi diversi di vedere le cose.

Il ragionamento del porporato australiano è che, se non si regola con chiarezza la figura del papa emerito con una riforma del diritto canonico, si rischia di favorire le polemiche giornalistiche, di agevolare le ricostruzioni improvvisate e di assicurare il successo alle fiction televisive. E magari di cadere vittime di oscure manovre politiche, di giochi di potere e manipolazioni ideologiche. È un dubbio motivato? Ratzinger ha sempre detto di sentirsi “un vescovo in pensione” e che da quando si è dimesso l’amicizia con Francesco è cresciuta. Come dire che non ci sono due pontificati, ce n’è uno solo, quello di Bergoglio, al quale Ratzinger offre il suo contributo.

Insieme, dopo sei anni dall’elezione del papa argentino, hanno scritto un libro sugli abusi ai minori per mostrare sintonia. Per Francesco, Ratzinger è come un “nonno”, una persona saggia con cui confidarsi. E la vita di Benedetto procede tranquilla nel convento Mater Ecclesiae, egli trascorre le giornate leggendo e studiando, ascolta l’amato Mozart e riceve il “collega” regnante che, quando può, passa a trovarlo. Ha molto sofferto la perdita in luglio del fratello maggiore Georg, 96enne, malato da tempo, e in estate la stampa tedesca ha rivelato che soffre di una forma infettiva al viso, forse un herpes oftalmico. Si dice che la sua voce sia così flebile che la si ode appena.

Intanto continuano a uscire libri che alimentano la tesi del conflitto, l’ultimo s’intitola “Un altro papa, Ratzinger, le dimissioni e lo scontro con Bergoglio” di Marco Ansaldo, edito da Rizzoli. Ma i diretti interessati si prodigano per dimostrare che la Chiesa è unita, pur ammettendo che al suo interno esistano sensibilità diverse. Eugenio Scalfari va controcorrente. Il fondatore di Repubblica scrive che Bergoglio e Ratzinger hanno un’intesa di vecchia data, una comunione di intenti che non è mai venuta meno: “Riusciamo quasi a immaginare la presenza di due papi che affrontano assieme i grandi temi dell’umanità, temi validi in tutto il mondo cattolico e cristiano”.

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