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Attualità

LEADER NATURALE

COSTANTE PORTATADINO - 24/12/2020

 

Non è stato un prete qualunque, don Fabio. Non negli anni del suo ministero a Varese, poi come parroco a Milano, sempre come guida di gruppi di universitari, poi diventati adulti, ancora più affezionati. Perciò è difficile ricordarlo, senza cadere nel sentimentalismo, specialmente per chi l’ha incontrato come me, studente universitario responsabile con altri dei giovani di Gioventù Studentesca, lui prete novello, chiamato a Varese da Mons. Manfredini proprio per seguire questo nascente movimento.

Dal primo momento mi accorsi che avrei dovuto affidarmi a lui più che a me stesso: incaricato di riportarlo a Lecco, dopo il primo incontro con la comunità di Varese che era in vacanza all’Alpe Veglia, durante la discesa dalla montagna smarrimmo il sentiero per colpa mia e fummo costretti ad attraversare una fitta boscaglia per ritrovarlo. In seguito mi fece appassionare all’alpinismo e avendo sempre lui come capocordata, capii molto meglio di qualunque sermoncino l’importanza del ‘seguire’ come metodo educativo. Solo molti anni dopo, in quella che forse fu l’ultima scalata insieme, mi permise, anzi mi impose di passare a capocordata in un tratto in discesa, quindi più difficile, della sua amata cresta Segantini, in Grigna.

Con questo episodio ho evidenziato un lato del suo carattere: era un leader naturale, che non rifuggiva dalle responsabilità, ma era disposto a condividerle, se questo fosse stato occasione di crescita umana e cristiana ai compagni. Nello stesso tempo la sua autorevolezza verso i più giovani si fondava in modo certo ed evidente sulla parallela capacità di seguire le persone che erano autorevoli per lui: don Giussani, ovviamente per quanto riguardava Gioventù Studentesca e poi Comunione e Liberazione, ma anche Mons. Manfredini per la Parrocchia di s. Vittore, dove si realizzò una esemplare comunione di vita e di pastorale tra i sacerdoti, continuata poi anche con Mons. Alberti.

Era ancora all’inizio della sua presenza a Varese quando dovette affrontare la “crisi del ‘68”, sia nel mondo studentesco varesino nel suo complesso, sia all’interno del gruppo nato da GS, che ormai comprendeva anche molti universitari e giovani adulti. Anche in questo caso s’impose come leader, pur dovendo superare diversi contrasti con persone amiche e stimate, accettati con profondo rammarico. Nello stesso tempo riusciva a mantenere un dialogo aperto, franco e cordiale, mai cadendo nell’opposizione preconcetta, con i “contestatori” nella scuola e fuori, che non poterono non riconoscerlo come interlocutore serio e autorevole.

In questi anni nacque in università il movimento di Comunione e Liberazione, sviluppo maturo di quella importante testimonianza cristiana che era stata Gioventù Studentesca nella scuola. Divenne la vera passione della vita di Don Fabio, la circostanza che completava appieno il suo impegno pastorale e che gli offriva la possibilità di una particolare vicinanza a don Giussani, risultata feconda e complementare al suo impegno in Varese, ancora molteplice, Parrocchia, Comunione e Liberazione, insegnamento di Religione al Liceo Classico Cairoli.

In quest’ultima funzione manifestò una capacità di sintesi culturale di grande spessore, tanto più che le condizioni economiche della famiglia lo avevano indirizzato all’istituto tecnico commerciale, da cui era passato direttamente al seminario, che gli aveva offerto esperienze e competenza sufficienti ad approfondire autori anche diversi, da Dante a Dostoevskij, da Claudel a Eliot, ad un livello tale da poter presentare le sue ‘lezioni’ davanti a pubblici importanti, come il Meeting di Rimini o varie università, compresa la prestigiosa ‘Alma Mater’ di Bologna.

Una particolare sensibilità per la bellezza, già presente in giovane età ed evidenziata dall’amore per la musica e il canto, da quello popolare e delle canzoni della montagna tanto amata, fino alle vette della musica ‘colta’: poco più di anno fa, nonostante la malattia invalidante, era stato relatore ad un incontro pubblico a Lecco, la serata concerto “Salita ai due giganti”, che si proponeva di unire in un suggestivo percorso la passione per la montagna, la musica di Bach e il Petrarca dell’Ascesa al monte Ventoso. Applicava ancora a se stesso la frase di s. Paolo spesso citata dalla Prima lettera ai Tessalonicesi: “Panta dé dokimazete, to kalon katekete”, che traduceva letteralmente: “Vagliate tutto, trattenete ciò che è BELLO”, perché attribuiva a ‘bello’ un significato più ampio ed intenso e soprattutto più attrattivo di ‘buono’ o di ‘valore’ delle traduzioni ordinarie.

Credo sia giusto affidare la conclusione a parole sue, espresse in un “Te Deum” pubblicato da TEMPI esattamente l’anno scorso. Si riferiva proprio all’esperienza di incontro tra musica e montagna, portata come testimonianza al concerto citato: “Dall’ascolto di un preludio di Bach suonato da Dario, ho avuto un’intuizione: tutte le persone che si apprestano a salire sui monti dovrebbero prima ascoltarlo. Questa intuizione si è fatta sempre più chiara e concreta: insieme a Dario, ascoltando musica, abbiamo potuto sperimentare come montagna e musica aiutino il cammino umano ad aprirsi ad Altro da sé. In un lavoro di mesi abbiamo progettato e realizzato nel maggio scorso una serata-concerto per la città di Lecco intitolata Salita ai due Giganti. Cosa accade quando la passione per la montagna incontra Bach. Il senso dell’andar per monti – questo il fil rouge della serata – è capire cos’è la vita, scoprirne la bellezza facendo i conti con la realtà e con la fatica di affrontarla, così come si affronta la salita verso la cima in una compagnia fraterna che sa aiutare nelle difficoltà. Lo si scopre arrampicando, ma anche con la musica di Bach che sa trasformare in suoni gli aspetti sostanziali del vivere.

Sarò sempre grato a don Giussani che mi ha insegnato a vivere la mia passione per la montagna riconoscendo che il dono che si riceve vivendola pienamente e umilmente è la consapevolezza di quanto la nostra sia una semplice presenza davanti a qualcosa di più grande. Ho sempre cercato di trasmettere ai miei amici quanto ho imparato da Giussani portandoli in montagna per fare apprezzare il gusto del creato. Andar per monti permette di sperimentare e di accrescere la capacità di affrontare in modo adeguato le difficoltà della vita, paura compresa, e parallelamente la disposizione a coglierne la bellezza.

Oggi per me vivere positivamente la condizione della mia malattia significa viverla con speranza, come la intende Dante che fa dire a san Giacomo nel XXV Canto del Paradiso: «Spene è uno attender certo de la gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto».

 

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