Viviamo un tempo stranissimo, in cui chi gode è sempre lo stesso, è chi ha già goduto ampiamente, sfruttando tutti i mezzi possibili, nel bene e nel male, avendo sempre dalla propria parte chi è pronto a restituire il favore. Ecco il paese che deve cambiare, quello dei favori e delle convenienze, quello di chi trova tutto pronto e di chi deve strisciare, il paese delle faide e dei sotterfugi, quello che non finisce mai di alimentare la ricchezza e spianare la strada alla povertà. La produzione è sacrosanta, ma va incentivata, aiutata, sollecitata, va fatta vivere soprattutto là, dove può incontrare un terreno fertile da coltivare con entusiasmo e passione, perché possa aprire la cassaforte dei tesori a quei giovani che sono in cammino e che si protendono a una conoscenza vera e profonda di se stessi e di quel mondo variopinto che li circonda, spesso ignorandoli o trattandoli come perenni immaturi.
Perché la scuola non scopre finalmente la sua vena produttiva? Perché a una scuola dell’ascolto e del nozionismo fine a sé stesso, non sostituiamo una scuola che produce, che costruisce, che organizza, che realizza e commenta, che diventa protagonista di se stessa e che scuote le coscienze passando dall’interno, dove il lavoro, se ben guidato, diventa la bacchetta magica per creare valore, ricchezza, potenzialità, autonomia. Ecco dov’è mancata la scuola, nella sua essenza, nel suo essere già di per se stessa generatrice di istruzione e di cultura, di possedere nella sua ricchissima interiorità, la possibilità di sviluppare una tendenza creativa, che includa il pensiero e l’azione, la voglia di fare e quella di formare, una scuola che non si accontenti di una memoria statica o di un orgoglio classista, ma che apra le porte dell’animo umano, che offra alle persone, ai ragazzi e alle ragazze, l’opportunità di vivere una libertà vera, fuori dalle frustrazioni e dalle repressioni, una libertà che si traduca in autodeterminazione o in determinazione comunitaria, dove i valori si associano e si assemblano, creando le basi di una democrazia dal basso, che impara a guardare dentro se stessa, convinta che gli strumenti siano già lì pronti e abbiano solo bisogno di essere liberati da varie forme di autoritarismo.
L’autorità è importante quando sollecita, quando diventa duttile e foriera, quando aiuta a scoprire da che parte stanno la bellezza e la voglia di fare, di produrre, di esserci, l’autorità è necessaria come fonte di approvvigionamento di possibilità di movimento, all’interno di una realtà che spesso incastra e immobilizza, perché non ama chi va troppo oltre, chi si mette alla prova, chi desidera dare un peso alle cose che sente e alle cose che dice. La vita ha bisogno di prosa e di poesia, ha bisogno di potersi esprimere, mettendo in campo tutta quella disponibilità di cui è “padrona”, ha bisogno di essere dentro la propria storia, vivendola con gioia e passione e con la certezza che tutto contribuisca a far crescere l’autorevolezza, quella che aiuta la natura umana a uscire dai vincoli paradossali che la reprimono. La prosa storpia quando si ripete, quando toglie la leggerezza di un volo, quando costringe a riproporsi secondo schemi vecchi e obsoleti, incapaci di dare un volto nuovo al mondo che cambia. La prosa senza la poesia si sclerotizza, rischia di perdere di vista la fonte di una vibrazione, la bellezza di un’emozione, la possibilità di avere una visione più ampia e armoniosa di ciò che la circonda. È in una rinnovata ricomposizione che forse sarà possibile riattivare quell’armonia delle cose, che aiuta a sentirsi un pochino più umani, più capaci di valorizzare quei tesori che, se bene utilizzati, consentono di ampliare quel perimetro di appartenenza che aspetta solo di essere vissuto e accolto con tutta la gioia necessaria, per poter produrre tutta quella ricchezza che porta con sé.
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