(S) Ci prepariamo ad un Natale sobrio. Finalmente, così dovrebbe essere sempre.
(O) Premetto due considerazioni: m’importa poco del calo dei consumi, pur comprendendo le doglianze di chi commercia in articoli che hanno questa stagionalità, amici e parenti compresi. Inoltre posso anche sperare, ma non ne sono sicuro, che sobrietà significhi minori distrazioni e maggiore apertura alla spiritualità. Tuttavia temo che si perda qualcosa d’importante. D’accordo, è la festa della famiglia riunita e se rimane intima e non troppo allargata non è un gran male, tanto, dicono, ci si vede anche su whatsapp, ma … vorrei che non andasse perduto il vero senso della festa, che è davvero speciale, nel vasto universo del sacro. Abbiamo notato nelle due precedenti Apologie che da un lato esiste una ‘domanda di sacro’ che si sfoga spesso in forme stravaganti, Maradona docet, dall’altro un’indagine attenta come quella del Censis non rileva una specifica incidenza della Chiesa e dei cattolici nel cambiamento d’epoca causato dalla pandemia.
Rammento brevemente la tesi principale di ciascun intervento: a proposito del sacro, usavamo le parole di Ferrarotti: “Ridotto all’essenziale, il paradosso del sacro è il seguente: ‘sacro’ è il metaumano che più occorre alla convivenza umana, pena l’appiattimento del vivere, l’offuscarsi del parametro o punto di riferimento critico contro cui misurarsi, la perdita del ‘senso del problema’ ossia pena la perdita di ciò che vi è di propriamente (unicamente) umano nell’uomo”.
Del rapporto CENSIS, invece, il passo più scioccante è questo: “La paura pervasiva dell’ignoto porta alla dicotomia ultimativa: “meglio sudditi che morti”. E porta a vite non sovrane, volontariamente sottomesse al buon Leviatano. Cresce allora il livore della logica “o salute o forca”. Come possiamo rispondere a questo paradosso? Aggiungo, per migliore comprensione del mio pensiero, che se anche la domanda di sacro riesce a sgusciar fuori dalla parodia che ne fanno i maradoniani o i pastafariani o dal sarcasmo della satira, poniamo di Crozza, non per questo riesce a ridarci il ‘senso del problema, come dice Ferrarotti, più di quanto non faccia la devozione personale confinata nel privato dalle misure anti-covid.
(C) Il paradosso del presente è che mentre la religione è compressa nelle sue manifestazione pubbliche, cresce visibilmente nel privato, anche e soprattutto attraverso le nuove modalità di comunicazione, ma su questo fenomeno occorre fare qualche riflessione. Non mi sembra che quel che si perde da una parte si riguadagna interamente dall’altra. Non ripeto l’esempio di quindici giorni fa, della messa televisiva inghirlandata di immagini ‘carine’, ma astratte, separate dal contesto, incapaci di rappresentare la cena con il corpo e il sangue di Cristo, non in forma simbolica, ma come noi crediamo reale, detto con una parola difficile, transustanziale.
Voglio essere chiaro. Quello che mancherà non sarà l’atmosfera, di luminarie e babbi natale, ma quel momento prima di raccoglimento sul significato della venuta di Dio nella carne e poi di passaggio all’applicazione di quell’esperienza di pace e di speranza alla ‘carne’ della nostra famiglia, degli amici e dei vicini o anche dei più lontani, i poveri e i perseguitati che non vediamo, se non in televisione. Se non facciamo prima l’esperienza di un incontro commovente, che smuova l’intelligenza e la volontà, non potremmo smuoverci dal nostro progetto o dal disordine quotidiano. I pastori di Betlemme invece abbandonarono le pecore (di notte!) perché furono colpiti dall’evento straordinario che anticipava e conteneva l’annuncio e riconobbero poi ciò che era stato loro annunciato, il salvatore.
In un neonato uguale a tanti altri. Non avrebbero potuto farlo solo guardandolo con i loro occhi, ragionando con la loro cultura, interpretando i testi della loro religione; invece un avvenimento con la caratteristica del sacro li aveva illuminati. Qualcosa di simile accade ai Magi. La loro cultura ‘scientifica’ li porta da Erode, totalmente fuori strada; l’evento sacro li raggiunge e li riporta alla meta.
Ora applico questi esempi alla situazione presente: vivere la religione fuori della dimensione del sacro rischia di indirizzarci verso una religione secolarizzata, che appiattisce i paradossi cristiani, quelle verità di fede che per la ragione agnostica sono incomprensibili, addirittura scandalose, una per tutte la Presenza Reale nell’Eucaristia. Un Natale desacralizzato, anche proprio nelle sue parti più ‘popolari’, apparentemente banali come festa, doni, pranzo famigliare, visita ai parenti meno prossimi, scambio di auguri, magari non toglierà molto all’aspetto istituzionale della religione, ma farà sì che la ragionevolezza, intesa come calcolo del rischio, spinta dalla paura, lavorando come sott’acqua, provocherà quell’appiattimento del vivere di cui parlava, già molti anni, fa Ferrarotti. Specialmente se questa condizione di vita si protrarrà a lungo anche dopo.
(S) Voi volate alto, vi invidio. Ma io sono di quelli che la messa la segue in televisione, sopportando la distrazione, condizionato, se volete, della paura, la mia e quella che mi mettono addosso moglie e figlie. Fallo per noi, mi dicono, non esporti, lo consigliano anche i preti. Leggo che l’episcopato del Belgio, Stato particolarmente colpito dalla prima ondata consiglia questa forma di ‘astinenza’ dalla liturgia quasi più delle autorità statali. Aggiungo un’altra critica, di segno opposto: non mi va nemmeno di sostituire la normale vita liturgica e spirituale personale con quel ‘consumo di sacro’ che vedo diffondersi tra persone che conosco, sia già abitualmente molto devote, sia di recentissima ‘conversione’: un accumularsi disordinato di preghiere, prediche, messaggini via whatsapp che proprio i nuovi media diffondono fino ad una esagerazione che oserei definire bulimica. Stiamo più calmi, non facciamoci prendere dalla paura, occupiamoci piuttosto dei nostri figli o nipoti, travolti dalla crisi educativa della scuola, a dire il vero iniziata ben prima della pandemia.
(O) Proprio preoccupazioni come quest’ultima mi spingono a ribadire il valore dell’esperienza del sacro nella vita quotidiana, pur comprendendo preoccupazioni e comportamenti come i tuoi. In particolare voglio farti notare che uno dei problemi dell’educazione odierna è che tutto appare facilmente DISPONIBILE. Se quello che non so lo posso sapere digitando su internet, a che serve studiarlo? Prima ancora, anche alla scuola primaria, a che serve imparare le tabelline se ho la calcolatrice in tasca? Perché cercare un oggetto particolare in giro per negozi, se Amazon me ne recapita a casa uno più o meno uguale? Rendere DISPONIBILE il sacro in questo modo, come una cosa tra le altre, che un giorno si prova e un altro si rimanda al mittente, svalorizza l’esperienza religiosa, la rende precaria, fornisce un surrogato di sacro che non fa crescere la fede.
(C) Ascoltando qualche giorno fa l’interessante incontro ‘OLTRE LA PREDICA’ promosso proprio da RMF ho sentito confermare queste preoccupazioni da tutti i partecipanti, in particolare dai sacerdoti delle diocesi di Milano e di Torino che sono incaricati di sviluppare la comunicazione attraverso i nuovi media. Da loro ho imparato sia la possibilità di usarli per tutti gli aspetti della pastorale per cui si prestano ottimamente, sia la necessità di preservare al rapporto diretto e personale gli aspetti propriamente liturgici e sacramentali. Preservare la giusta dimensione del sacro aiuta a non banalizzare le verità di fede e a mantenere la fede stessa nella sua giusta dimensione di nesso tra reale e soprannaturale.
(S) Ma su questo sono totalmente d’accordo anch’io. Non vorrei mai che le verità di fede divenissero una ideologia come tante e la Chiesa una Onlus, tra l’altro particolarmente vulnerabile alle critiche dei benpensanti. Non datevi pensiero per me: il mio Natale sarà sobrio, prudente, igienizzato, tradizionale, ma cristiano, non secolarizzato. Almeno proverò, in tutte le maniere possibili, purché caute, a farmi raggiungere e ‘contagiare’ dall’esperienza del sacro.
(S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti (C) Costante
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