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Attualità

PABLITO E NOI

GIOIA GENTILE - 11/12/2020

rossiLasciatemi dire due parole su di lui, su Paolo Rossi, anche se non sono un’esperta di calcio. Ce l’avevo nel cuore quel ragazzo magro e guizzante, dal sorriso gentile e scanzonato, capace di farci sentire, per una volta, forti e invincibili.  Io, che ho sempre considerato il calcio soltanto un gioco, avevo intuito che in quel magico campionato del mondo dell’82 c’era qualcosa di più: il desiderio e la volontà di affermare che ci siamo e siamo bravi anche noi Italiani: non solo spaghetti e mafia e corruzione, ma anche creatività, intelligenza, solidarietà, voglia di far bene.

Era iniziato in sordina quel campionato, con alcune partite scialbe che avevano suscitato polemiche. Il citì Bearzot messo in croce. Poi c’era stato un guizzo di orgoglio: basta! silenzio stampa avevano  decretato gli azzurri, offesi dall’eccesso di critiche. Da allora era stato tutto un crescendo di vittorie. I giocatori avevano cominciato a dare il meglio di sé e si erano rivelati uno più bravo dell’altro: Bruno Conti, un motore instancabile; Gentile e Scirea, due rocce in difesa. Chi non ha sorriso – anche se con un certo senso di colpa – nel rivedere la scena della maglia di Zico strappata da Gentile, trasmessa più volte a suon di tango? E Scirea: quando la palla minacciava di avvicinarsi alla nostra porta, dicevamo “ma tanto lì c’è Scirea”. E c’era sempre. Anche lui troppo presto scomparso pochi anni dopo. E in fondo, tra i pali, estremo difensore, Zoff: “Le palle lunghe non le vede” diceva qualcuno, e invece le vedeva eccome.

Ma soprattutto c’era Paolo Rossi, fisico minuto e un nome comune, entusiasmo e sorriso allegro da bambino. Pablito, che faceva apparire facile e naturale ogni acrobazia. Dicevano che i suoi erano goal di rapina, perché non era un centravanti di sfondamento – e come avrebbe potuto con quella struttura fisica? – ma era solito sottrarre la palla ad avversari e compagni con guizzi imprevedibili per farla schizzare in rete. In realtà, rivedendo i filmati, mi sono convinta che la rapina la facesse solo ai danni dei cronisti, perché le sue azioni erano tanto fulminee che loro neppure se ne accorgevano.

La notizia della sua morte mi ha colto di sorpresa e mi ha lasciato una profonda tristezza. Non solo perché quest’anno sono state tante le morti – di persone famose e non – ma anche perché è come se avessi perso un altro pezzetto di vita. Anche coloro che non abbiamo conosciuto da vicino hanno contribuito a renderci quelli che siamo: ci hanno offerto un modello da seguire, sentimenti da coltivare, sogni da realizzare. Quando uno di loro ci lascia ripenso a tutti gli altri – vicini e lontani – che ad uno ad uno se ne sono andati. E sempre più spesso mi ritorna in mente il verso di Spoon River: “Tutti, tutti dormono sulla collina” .

Ma Pablito non lo voglio ricordare con malinconia. Lo ricorderò, invece, vestito d’azzurro mentre corre con le braccia alzate e grida felice, come il presidente Pertini, come tutti noi. Sempre giovane, con quel sorriso buono da ragazzino scanzonato.

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