(S) Maradona santo subito! Chissà quante statuine nuove da mettere nel presepio, già c’erano da vivo. Capita solo a Napoli o anche in Argentina e il supertifoso del San Lorenzo de Almagro, non ha niente da ridire?
(O) Ti senti offeso da manifestazioni di sentimento popolare? Vorresti che le cose fossero sempre al loro posto e che la storia dell’umanità si svolgesse sempre in modo rettilineo e razionale? Questa volta l’illuso sei tu. Il mondo gira e cambia per strappi improvvisi, imprevisti. Quanto più imprevisto è l’avvenimento, tanto più forte è il cambiamento. Fosse morto di vecchiaia tra trent’anni, ci sarebbe stato cordoglio, ma non questo entusiasmo ‘sacrale’.
(C) L’entusiasmo ‘sacrale’ dei napoletani si spiega anche pensando a cosa è stato per loro Maradona: colui che li ha portati, attraverso la squadra di calcio, al vertice d’Italia e ad essere presenti nell’eccellenza europea, sfatando il mito di pizza e mandolino o della pistola nel piatto di spaghetti. Non c’è solo negatività, che non sto a ricordare, nel tifo napoletano, ma un misto di speranza e di rivendicazione, di umanità e di espedienti, il tutto forma un cocktail esageratamente agitato. Ricordo che Zamberletti, al tempo del terremoto in Irpinia doveva provvedere anche a riparare i danni di Napoli, si era trovato uno striscione allo stadio, che tra poco porterà il nome di Maradona, che diceva: “Zamberletto, tiente ‘e case e caccia o scudetto”.
(S) Ma scherza coi fanti e lascia stare i santi! Vero che non si parla seriamente di santità, ma questa non è idolatria? Anzi, ti do una notizia, in Argentina esiste da tempo una ‘Chiesa’ o religione maradoniana.
“Ventidue anni fa, nella fatal Rosario, il 30 ottobre in cui si celebravano i 38 anni del campione, il giornalista sportivo Alejandro e un amico decisero di fondare la santissima Iglesia de Maradona.
Doveva essere una parodia, diventò una liturgia. Sembrava un passatempo, e fu subito passione. Credeva fosse amore, e invece era religione: oggi sostiene di contare duecentomila adepti in sessanta Paesi e in seicento città, i più naturalmente in Argentina e a Napoli, e vanta 93mila follower su Facebook, cinquemila fedeli che si sono pure collegati all’omelia in morte di Diego. Coi riti e i miti, i fasti e le feste. Tutti i paramenti di un’incredibile confessione: «La nostra religione è sempre stata il calcio. E come ogni altra religione, dovevamo avere un nostro dio»“. L’ultimo aggiornamento di Wikipedia parla di ottocentomila ‘fedeli’ nel mondo.
(O) Non sapevo esistessero le parodie di religione, tanto meno pensavo che potessero evolvere a ‘religioni’. In che cosa consiste la parodia?
(S) Il punto è che, come sempre, solo lo scandalo fa notizia, attira l’attenzione. Leggo ancora su Wikipedia: “La religione ha fatto propria parte dei sacramenti e delle festività cristiani, modificandoli in modo da rendere onore al D10s (D10s sta per DIOS = Maradona), Ecco come funzionano:
il Battesimo di un nuovo credente avviene giurando sull’autobiografia del giocatore, Yo soy el Diego[1];
il Matrimonio avviene giurando sul libro e su un pallone da calcio: è presente anche lo scambio degli anelli davanti ad un poster di Maradona[1]. Il primo matrimonio di questo genere è stato celebrato il 22 novembre 2006 tra Mauricio Bustamante e Jaquelin Veròn[1];
il Natale viene festeggiato la notte tra il 29 e il 30 ottobre di ogni anno: nel 2003 assistette alla cerimonia una delle figlie di Maradona, Dalma[2][3];
la Pasqua viene celebrata il 22 giugno, giorno in cui si giocò nel 1986 la partita Argentina-Inghilterra, nella quale Maradona segnò il gol della Mano de Dios[1].
(O) Più che parodia, vere scemenze. E comunque, anche se non fossero un business travestito da setta, non c’entrano e non sono l’origine di quello che abbiamo visto a Napoli: fanatismo, folklore, esibizionismo, chiamatelo come volete, ma sentimento reale, tanto che vanno a toccare le autorità, fino all’intitolazione dello stadio, cosa normale in sé, ma evidentemente voluta a furor di Popolo. E chissà cos’altro s’inventeranno. Vorrei capire meglio da dove nasce questo ’furor di popolo’, che cosa esprime.
(C) Mi chiedete uno sforzo notevole, in troppo poco tempo, voi e i lettori, spero mi perdonerete se sarò troppo sintetico e approssimativo. Scartiamo da una seria considerazione la Iglesia Maradoniana, come scartiamo i terrapiattisti, i pastafariani (vedi Wikipedia, ammesso che esistano e non sia una pura presa in giro, approdata su WP), gli adoratori di Bob Marley, i credenti del ritorno di Elvis Presley e simili.
Il punto è il bisogno di sacro, comune a tutti i popoli e a tutte le epoche, il suo sconfinare nel ‘sacro selvaggio’, studiato da decenni dalla sociologia e dall’antropologia, da Bastide: quel ‘sacro selvaggio’ che forma una sorta di riserva inesauribile di pulsioni e di forze da cui trae alimento la vita sociale: “La crisi dell’istituito, e cioè della Chiesa, non comporta una crisi di ciò che istituisce e cioè dell’effervescenza dei corpi e dei cuori, della sperimentazione ricercata del sacro”, di un sacro selvaggio che “si vuole esperienza vissuta del caos”.
Vedo quindi l’apoteosi napoletana di Maradona come l’emersione alla superficie di un fenomeno profondo, l’esile scia del periscopio di un gigantesco sottomarino, il manifestarsi caotico, non riconducibile a ragione del bisogno di sacro. Maradona ha trasceso la figura del campione, quella dell’eroe, ha sfiorato la soglia del sublime, del punto di contatto tra il divino e l’umano, come solo i grandissimi poeti e musicisti hanno saputo fare, ma i suoi ‘seguaci’, a costo di forgiarsi un idolo, esprimono oggi il disperato tentativo di trovare una compensazione banale, nella difficoltà di avere una risposta esauriente ad una domanda di significato troppo grande per esaurirsi nel compianto o nella memoria.
(O) Come dire, riprendendo Bastide, che oggi la Chiesa non riesce a rispondere adeguatamente alla domanda di significato che l’origine ultima della sua missione? San Diego Maradona sarebbe più efficace come patrono di Napoli di San Gennaro?
(C) Ahi! Mi porti su un terreno ancora più insidioso, perché sacro e santo non sono la stessa cosa. La domanda di sacro, cioè di una risposta che dia significato al vivere e al morire è insita nel soggetto e la risposta è propria di tutte le religioni, anche di quelle cosiddette primitive. Santo invece, in modo chiaro è evidente soprattutto nel cattolicesimo, è invece chi è riconosciuto tale da Dio stesso, e non per aver avuto qualità eccellenti, ma esclusivamente per essere stato testimone e annunciatore del vangelo, col martirio o con le opere. Ma il legame tra sacro e santo deve rimanere evidente, anzi, deve essere la forza dell’annuncio.
(S) Condividi con me l’impressione che la Chiesa, sotto l’impulso della normalizzazione razionale ed etica a guida gesuitica, rischi di perdere il contatto con esigenze vitali di gran parte dei fedeli?
(C) Spero proprio di no, ma per me è chiaro che accettare una specie di egemonia culturale illuministica, presentandosi con armi spuntate nel campo dominato dalla scienza e dalla tecnica, significa rassegnarsi ad una condizione di marginalità, ancorata ad un debole fideismo. L’esempio chiaro è costituito dall’accettazione supina delle misure imposte dalla prevenzione al covid, (peggio ancora fanno le immotivate ribellioni ad esse). Ma voglio osare un esempio azzardato: se la solitudine del Papa nella celebrazione del Venerdì Santo ha colpito la sensibilità di molti, è stato perché, forse involontariamente, quella strana cerimonia faceva pensare appunto alla domanda di significato di fronte al mistero, al sacro. Domenica scorsa invece ho ascoltato in televisione la messa del Papa, prima domenica dell’Avvento in rito romano: ottima omelia, cura dei particolari, polifonia gradevole, ma il tutto appariva fiacco, poco attraente. Quando poi ho voluto abbandonare RAI 1, dove gli ‘esperti’ di ‘A Sua Immagine’ intrattenevano gli ascoltatori sovrapponendosi alla liturgia, e sono passato alla versione senza commento di Canale 5, mi sono trovato come in un altro pianeta. Sarà stata colpa della regia, che nella versione Rai prevedeva il commento, mentre in questa si trasmetteva semplicemente la messa tale e quale, ma mi sono accorto che le immagini, specialmente nel momento della comunione, divagavano dal particolare di una statua alla fiamma di una candela, da un’inquadratura del pubblico protetto dalle mascherine alle guardie svizzere, alle loro armature e ai loro pennacchi. Insomma, non comunicavano nessun significato, anzi distraevano.
Mi sono chiesto e continuo a chiedermi: solo un problema di comunicazione, di utilizzazione del mezzo televisivo, che non consente pause e fa scambiare la meditazione per noia? Che cosa perdiamo, se non manteniamo nell’annuncio il legame tra sacro e santo? Ho trovato parole migliori delle mie (un po’ difficili, scusatemi) in queste di Ferrarotti, che sottolinea, in questo modo, quello che definisce il paradosso del sacro: “Ridotto all’essenziale, il paradosso del sacro è il seguente: ‘sacro’ è il metaumano che più occorre alla convivenza umana, pena l’appiattimento del vivere, l’offuscarsi del parametro o punto di riferimento critico contro cui misurarsi, la perdita del ‘senso del problema’ ossia pena la perdita di ciò che vi è di propriamente (unicamente) umano nell’uomo”.
(S) Non sono sicuro di aver capito questa conclusione, ma ho capito perché tu e Max vi scambiate frizzi e, raramente, pareri assennati a proposito del Campionato di calcio: per voi fa parte del sacro che evita “l’appiattimento del vivere”, specialmente a lui che è juventino.
(S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti (C) Costante
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