Noto agli addetti ai lavori ma, presumo, sconosciuto ai più è il meccanismo normativo da applicare alla pianificazione di parti del territorio particolarmente sensibili o degradate che si presentano “scollate” dal tessuto urbano, sia dal punto di vista edilizio sia da quello sociale. L’area industriale dismessa ex Aermacchi ricade, non unico caso a Varese, in questa tipologia.
Il programma integrato di intervento è uno strumento urbanistico costituito da un piano attuativo che, naturalmente, necessita dell’approvazione del Comune a seguito di un procedimento nel cui ambito l’Amministrazione è tenuta a compiere le proprie valutazioni relative al perseguimento dell’interesse pubblico affidato alle sue cure. La finalità del piano è quello di integrare, coordinare e promuovere interventi che mirano a ricucire i tessuti lesionati e interrotti, a ripristinare il “racconto” dei luoghi, anche con nuove funzionalità comunque coerenti con le prospettive di sviluppo che l’Amministrazione pubblica intende raggiungere per l’intera città.
Questo è quanto descrive il primo comma dell’art. 16 della Legge 17 febbraio 1992 n. 179: Al fine di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale, i comuni promuovono la formazione di programmi integrati. Il programma integrato è caratterizzato dalla presenza di pluralità di funzioni, dalla integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di più operatori e risorse finanziarie pubblici e privati.
Il programma integrato ha pertanto la funzione di perseguire obiettivi di riqualificazione del tessuto urbanistico con particolare riferimento ai centri storici, alle aree periferiche, nonché alle aree degradate o dismesse. Rigenerare un comparto urbano abbandonato significa altresì pensare al legame con la città costituita come un insieme di ecosistemi funzionali in cui singolo ambito è concepito come luogo in cui si sviluppano relazioni sociali ed economiche con i cittadini che vi abitano con il concorso delle istituzioni, delle associazioni, delle realtà culturali. La rigenerazione urbana deve eliminare il degrado ma, contemporaneamente, tutelare e recuperare il patrimonio edilizio storico e, soprattutto, ricucire il tessuto sociale alimentando attività culturali, sostenendo la qualità dell’ambiente, l’inclusione sociale e l’innovazione. Questi criteri devono essere ben chiari ai promotori di un programma integrato, pubblici e privati. Contrariamente il rischio sarà quello di ricreare un luogo inattivo ed escluso dalla città.
Varese, dopo decenni di disattenzione, si appresta ad affrontare la progettazione di un futuro possibile. Le esperienze, ormai decennali, di interventi virtuosi hanno collaudato i programmi integrati sia in grandi sia in piccoli centri urbani nazionali e europei. L’imprenditoria, dai più disparati core business, ha ritenuto di investire in questa procedura partecipativa fra pubblico e privato riconoscendone l’utilità economica congiunta alla validità sociale.
Alla fine dell’Ottocento i Borghi di Varano seppero costruire un’intera cittadella coniugando un’impresa manifatturiera innovativa alla attività agricola e zootecnica senza trascurare i servizi della comunità. Nei primi decenni del Novecento i fratelli Macchi realizzarono a Varese una fabbrica di aeromobili, che diverrà orgoglio nazionale e, contemporaneamente, costituirono società immobiliari per lo sviluppo turistico (e urbanistico) e si impegnarono altresì nelle tramvie e nelle funicolari.
Oggi la condizione necessaria per questi interventi di pianificazione è la concertazione tra soggetti pubblici e privati con la creazione di tavoli tecnici di lavoro. L’amministratore pubblico deve connotare il suo apporto assecondando il mandato dei cittadini ed essere realmente coautore della proposta, anche apportando precisazioni e migliorie allo strumento urbanistico di pianificazione generale. L’Amministrazione Comunale ha quindi la stessa responsabilità del partner privato nella indicazione delle nuove funzionalità e anche soggetto economico compartecipe. Gli imprenditori che siederanno a questi tavoli dovranno essere motivati, non da mera filantropia, ma dall’efficacia delle sinergie che si verranno a creare con la valutazione e il confronto su alcuni elementi fondamentali: il recupero in chiave funzionale degli edifici di valore storico, non solo conservativo, l’innovazione, la mobilità, l’accessibilità, le motivazioni di permanenza o di passaggio nel luogo, le reali vocazioni di interesse pubblico e privato, l’energia, ….
L’Aermacchi, ad esempio, è stata una fabbrica di tecnologia, di modernità e di fermenti popolari e democratici. Il progetto di trasformazione non lo potrà negare.
Ragionando sull’auspicato intervento nell’area ex industriale rammento, e ripropongo, una riflessione di Renzo Piano: “…Mi piacerebbe restasse fabbrica: una fabbrica di idee. Vedo dei centri di ricerca… vedo dei giovani al lavoro e un vivaio di imprese, in un contesto di nuovi mestieri. Certo ci saranno negozi, ci saranno residenze, uffici, luoghi di scambio e di cultura e un parco, (aggiungerei anche una piazza) secondo l’unico modello di città che ci appartiene, quello della città che mescola mille attività rendendola viva. Ma la vera anima deve essere quella della fabbrica. Da città di fabbriche a fabbrica di idee…”
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