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Attualità

NON SOLO INCOMPETENZA

GIANFRANCO FABI - 04/12/2020

crisiHa ragione Giuseppe Adamoli (RMFonline della scorsa settimana) nell’individuare nell’ambiguità della riforma costituzionale del 2001 uno dei problemi emersi con maggiore evidenza nella gestione dell’emergenza sanitaria. Alla prova dei fatti la collocazione della sanità, così come dell’istruzione, tra le “competenze concorrenti” ha provocato un gioco perverso dello scaricabarile più in una logica di ricerca dei colpevoli che non nel perseguimento di un efficace intervento.

Lo dimostra il ritardo con cui nel marzo scorso sono state decise le zone rosse nella Bergamasca, così come lo dimostra il braccio di ferro che si è innescato con la divisione delle Regioni in zone di diversi colori, così come l’arrogante rifiuto con cui il Governo ha respinto i protocolli elaborati dalle Regioni del Nord per garantire in sicurezza una pratica, ancorché ridotta e controllata, dello sci e delle attività economiche collegate.

Se non mancano le colpe delle Regioni bisogna guardare soprattutto a Roma se si vogliono individuare le responsabilità che sono state alla base dei ritardi con cui si è affrontata la pandemia, ritardi che hanno determinato un numero di vittime percentualmente tre volte superiore a quello della Germania.

Perché già dalla fine della primavera si parlava di seconda ondata, si sottolineava la carenza dei posti letto e delle terapie intensive, si metteva in luce l’esigenza di garantire alle scuole una situazione di sicurezza.

Sarebbero stati disponibili 36 miliardi di fondi europei da destinare alla sanità (attraverso l’apposito sportello del fondo salva-Stati, Mes), ma l’opposizione tutta ideologica dei Cinquestelle e l’acquiescente inerzia del Pd hanno bloccato un’opportunità che avrebbe potuto essere determinante per fornire alle Regioni le risorse necessarie per adeguare i sistemi sanitari.

In questa situazione l’antipolitica ha dato il peggio di sé. E non consola il fatto che anche l’opposizione, tranne Forza Italia, abbia mantenuto il suo “no” ai fondi del Mes sulla base di un antieuropeismo fondato ormai sul nulla: senza l’Europa, che ha sospeso le politiche di austerità, e la sua Banca centrale, che ha sottoscritto quasi totalmente le emissioni di titoli pubblici, l’Italia sarebbe completamente alla deriva.

I mancati investimenti nella sanità sono una colpa grave (non solo da un profilo politico pensando al dramma umano delle migliaia di vittime del Covid). Intanto si è moltiplicata la spesa assistenziale, si sono distribuiti bonus a pioggia, si è intervenuti tardi e male per la scuola con le patetiche spese per i banchi a rotelle.

Nulla per attuare un piano dei trasporti mettendo in gioco bus turistici e noleggi con conducente per decongestionare le linee. Nulla per sostenere le scuole paritarie che avrebbero potuto contribuire a ridurre le classi troppo numerose. Nulla per un piano serio di rilancio dell’economia, solo convegni, commissioni e fantomatici Stati generali senza risultati evidenti.

Al contrario di Francia e Germania, colpite nella stessa misura dal virus, le scuole non sono state riaperte a maggio e sono state chiuse poche settimane dopo la ripresa autunnale senza lasciare alcuna autonomia a livello locale.

Le vicende delle ultime settimane sono la prova dei pericoli di un nuovo statalismo. È vero che quello delle autonomie regionali è in fondo un progetto incompiuto, soprattutto per la confusione dei ruoli e la mancanza di una vera autonomia finanziaria, ma è altrettanto vero che vi sono altrettante prove (per esempio i dieci anni di gestione commissariale della Calabria) che il problema di fondo non è l’architettura istituzionale, ma la mancanza di competenza, di responsabilità, di visione condivisa dell’interesse collettivo.

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