“Tanto gentile e tanto onesta pare”: questo verso, che evoca in tutti noi ricordi scolastici relativi alla Vita nova di Dante, è il titolo di un webinar organizzato il 13 novembre 2020 da una nota casa farmaceutica, in collaborazione con altri partner.
Sono stata invitata a partecipare, nell’ambito di un progetto di aggiornamento e informazione medica, che ormai da marzo 2020 avviene quasi solo online. Rimasta suggestionata dal titolo, dopo un momento di perplessità, decido di aderire approcciandomi tra il curioso e l’interessato.
Scopro così che il 13 novembre è la Giornata Mondiale della Gentilezza, importante valore che unito a molti altri riferiti dai vari relatori, ha anche un fondamento biologico.
Attuare comportamenti gentili può avere un impatto su geni e salute?
Quali benefici apporta la gentilezza in ambito personale e sociale?
A queste e a molte altre domande si è cercato di rispondere durante l’incontro virtuale.
Gli stili di vita tra cui il movimento fisico e una adeguata dieta – quella mediterranea in particolare – insieme a comportamenti quali meditazione, ottimismo, perdono, gratitudine e appunto gentilezza, sono in grado di contrastare lo stress di cui è impregnata la nostra società. Quello ossidativo in particolare ovvero quando le cellule sono prese di mira dai radicali liberi per cui si trasformano – quasi accartocciandosi – e perdono il loro fisiologico trofismo e la conseguente regolare funzione.
Si è trattato di riflessioni espresse nell’ambito di una “scienza umanizzata” che non esprime solo – in quanto scienza – freddi numeri di valutazione statistica o di elaborazione di lavori osservazionali, ma punta – in quanto umanizzata – a perfezionare migliori strategie per ogni essere umano, al fine di vivere non solo più a lungo ma anche e soprattutto in benessere.
È quella “scienza – biologia” dei valori da interpretare come “medicine naturali”, già in parte in nostro possesso in quanto geneticamente trasmessi al 25%, capaci di contrastare – se riconosciuti in ciascuno e adeguatamente addestrati – i momenti difficili che ogni essere vivente incontra, in particolare in questo periodo pandemico dove sembra si sia persa la bussola.
Etimologicamente il vocabolo gentilezza deriva da gentilis che significa appartenente alla gens, stirpe, famiglia patrizia. Anticamente si pensava che la condizione spirituale coincidesse con la condizione sociale, per cui coloro che appartenevano alla nobiltà dovevano essere anche capaci di garbo, cortesia, grazia, gentilezza appunto. Gli appartenenti alla stessa gens avevano dei doveri di reciprocità per assistenza o difesa; il loro comportamento doveva essere fraterno, solidale, pronto e sempre ben disposto all’aiuto l’uno dell’altro.
È ciò che si sarebbe dovuto mettere in atto da sempre nella nostra società, a prescindere dall’estrazione sociale, ricordando il rispetto per la vita di ciascuno, piccolo o grande, giovane o vecchio, attraverso sentimenti di vicinanza e collaborazione – sempre! – e non solo quando il Coronavirus ci fa paura!
La giornata della gentilezza ha radici lontane: istituita nel 1998 dal World Kindness Movement, – organizzazione che promuove il potere positivo della gentilezza -, come World Kindness Day; la sua storia origina ancor prima, dal discorso di addio fatto dal Presidente dell’Università di Tokio, Sciji Kaya, agli studenti il giorno della laurea – marzo 1963 – cui raccomandava “di essere i primi a creare un’ ondata di gentilezza che un giorno investirà tutta la società giapponese”.
Ora tutto il mondo anela a questa ondata particolare e utile! La nostra società del saper fare, del saper avere, del saper apparire ha dimenticato l’importanza del saper essere, del sapersi ascoltare, per entrare in empatia con chi avviciniamo, incontriamo o semplicemente con chi ci chiede un piccolo aiuto.
Il rispetto degli altri, l’offerta di piccoli gesti di sostegno sono utili in questo momento storico per ritrovare fiducia reciproca, per non scoraggiarsi, per guardare con maggiore serenità il futuro. Sono come una carezza e un sorriso fatti al cuore di ciascuno, perché “far bene fa bene”.
Non è sufficiente l’applicazione delle norme igieniche esterne, anche se indispensabili in questo momento: sono utili indubbiamente, ma ancor di più, se unite ad altre norme, quelle di igiene mentale finalizzate alla salute psicofisica, emozionale, esistenziale, sapendo che dalla salute e dal benessere degli altri dipende anche la nostra vita e viceversa, in famiglia, nel lavoro, nello sport e in qualunque altro ambito ci si possa trovare.
Dobbiamo imparare a pronunciare una parola un po’ dimenticata - noi – che sottolinea reciprocità, inclusione, empatia, simpatia. Di fronte a al dolore di qualunque origine, in particolare se di fine vita, l’ultima parola non deve essere solo quella della fredda scienza, ma anche e soprattutto quella dell’uomo che si fa prossimo con il sorriso, lo sguardo, il silenzio, valori importanti per sostenere chi soffre, con il riflesso della nostra umanità.
Mi pare opportuno riferire anche un’importante osservazione scientifica, sui telomeri, apprezzata durante il webinar. Pare che tutto ciò che riduce lo stress, aumenti i telomeri che sono piccole porzioni di DNA localizzate al termine di ogni cromosoma. “Hanno la stessa funzione dei cilindretti di plastica alle estremità dei lacci da scarpe: proteggono la doppia elica del DNA e gli impediscono di sfilacciarsi “disse suggestivamente Elisabeth Blackburn, soprannominata la “regina dei telomeri” per i suoi studi sulla longevità. Aggiunse la stessa: “Ad oggi è ancora impossibile produrre un elisir di giovinezza. Si può però puntare ad una difesa naturale dei telomeri, ad esempio, evitando stress e svolgendo attività fisica regolare”.
Mettendo in atto la gentilezza, la gratitudine, la meditazione e i valori positivi dell’animo umano – come più volte suggerito durante l’incontro – i telomeri appaiono meglio conservati per cui se “sei gentile con il tuo DNA anche lui poi sarà gentile con te e ti farà vivere più a lungo e in benessere”.
La gentilezza tuttavia si può apprendere, addestrare, insegnare sin da piccoli: brevi parole come “grazie” “prego” – per manifestare riconoscenza e gratitudine – si diffonderebbero come un’onda positiva già nelle microsocietà delle scuole materne o primarie. Ciò insegnerebbe ad antagonizzare la cultura dominante della competizione, dell’aggressività, del profitto, e purtroppo anche della violenza, per sottolineare invece la centralità della persona, il suo benessere, le sue esigenze, attraverso un atteggiamento di apertura, del prendersi cura dell’altro, del reciproco scambio. I benefici si farebbero progressivamente sentire con la riduzione dell’ansia, della depressione ma anche di malattie cardiovascolari o neurodegenerative. E i telomeri ne trarrebbero beneficio.
Con una metafora valida in particolare per questo momento pandemico, la gentilezza è come un virus, ma con effetti benevoli, per cui il suo agire diventa virale – ripple effect – diffondendosi come le onde del mare.
Secondo osservazioni della National Academy of Sciences la gentilezza può essere altamente contagiosa: se agiamo gentilmente con una persona, è molto probabile che la stessa sia più gentile con altri successivamente.
Il prof. Janil Zaki della Stanford University sostiene che la gentilezza è contagiosa anche in chi la osserva. Se vedi un atto di generosità o di gentilezza è probabile che tu lo diffonda. Una buona azione a sua volta ne ispirerà un’altra in una cascata virtuosa e inarrestabile che scientificamente è definita ripple effect.
Uno studio californiano ha analizzato circa seimila persone dedite ad attività di volontariato osservando che il rischio di mortalità era ridotto del 60% rispetto a coloro che non svolgevano alcuna attività.
Nel 2018 in uno studio di Hong Kong su 1504 adulti che praticavano volontariato sono stati osservati i seguenti parametri: stato di salute migliore, bassa incidenza di depressione, migliore benessere fisico, più alti livelli di soddisfazione verso la propria vita e maggiore integrazione sociale.
La gentilezza non è un tratto debole associato al mondo femminile, non è frivola, non ha genere ma può, anzi ci si augura sia patrimonio di tutti. Non si è mai troppo giovani o troppo anziani per essere gentili.
Va praticata fin dall’infanzia attraverso la collaborazione della famiglia: ciò può gettare le basi per un’umanità rinnovata e rinnovabile in cui porre le fondamenta per un inedito esemplare di homo gentilis.
La gentilezza rappresenta in questo momento pandemico “un’uscita di sicurezza” per il futuro, soprattutto delle giovani generazioni. Parafrasando tutto ciò che quotidianamente ascoltiamo, può essere considerato il miglior “vaccino” per contrastare i mali di questa complessa, impaurita e purtroppo a volte arida società.
È il solo virus contagiante che non ci deve far paura, anzi, ci fa solo bene e ci rende persone autentiche.
Se imparassimo dalla natura, in particolare dagli alberi, osserveremmo come una foresta, nel suo insieme, sa reggere le bufere spesso violente e devastanti, grazie a quel reticolo nascosto, invisibile di radici che permette ai vari alberi di sostenersi tra loro.
Quasi – ma forse esiste – ci fosse nell’ambito di un misterioso equilibrio secolare tra tutti, alberi, animali e pietre, un dialogo di tipo ancestrale, fondato – chissà – su un valore che noi ora chiamiamo gentilezza.
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