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DI LAGO IN LAGO

MARCO ZACCHERA - 27/11/2020

Pescatore sul lago d’Iseo

Pescatore sul lago d’Iseo

A 93 anni suonati, classe 1926, Italo Dalmeri è ancora lucido e dritto come un fuso. Nella sua casa trentina di San Cristoforo, vicino a Pergine Valsugana sul lago di Caldonazzo, racconta volentieri la storia della sua famiglia: una saga incredibile di pescatori emigranti di lago in lago e che per un secolo hanno calato reti in mezza Italia.

Sono le avventure di suo padre Ninfo e dei suoi zii, tutti originari di Peschiera Maraglio – sulla costa orientale del lago d’Iseo – proprio davanti a Montisola (la più grande isola di un lago europeo), dove da secoli era fiorente l’attività di fabbricazione e di montaggio delle reti da pesca.

Oggi le reti si montano con filati cinesi che hanno sbaragliato i prezzi, ma per decenni erano le donne locali che le tessevano e le montavano con infinita pazienza e professionalità.

La storia dei Dalmeri è però unica ed irripetibile iniziando da quella di undici fratelli (6 ragazze e 5 maschi) che a cavallo di inizio ‘900 si trovarono in troppi per pescare sul Sebino disponendo della concessione per sole due barche in un lago già troppo affollato di concorrenza.

Delle sei ragazze tre si fecero monache e le altre tre si specializzarono nel tessere reti, ma la storia degli altri cinque cambiò improvvisamente nel 1908 quando Paolo, il maggiore, si ritrovò imbarcato per il servizio di leva di mare vicino a Messina proprio il giorno del terremoto.

Scampato al disastro con altri marinai rimase a prestare i primi soccorsi e fu notato per il suo impegno dal seguito della Regina Elena di Savoia – venuta a visitare i senza tetto – e della quale divenne attendente.

Girò quindi l’Italia al seguito dei sovrani e, da congedato, emigrò in Svizzera a pescare sul lago di Neuchatel dove fu assunto dal proprietario svizzero del diritto di pesca sul lago del Moncenisio, piccolo lago alpino al passo tra Italia e Francia, dove la si esercitava solo durante la stagione estiva.

Oggi quel lago (che è abbastanza vasto, quasi 7 km quadrati, ma essendo a 1970 metri di quota è gelato per buona parte dell’anno) è ormai in territorio francese ceduto a seguito del trattato di pace del 1947, ma allora era completamente in Italia e vi venivano allevate trote di montagna.

Dopo alcuni anni di lavoro Paolo si fece raggiungere dal fratello Stefano – il secondo della covata – e “scese al piano” prendendo in gestione la pesca sui laghi di Candia e Viverone, vicino ad Ivrea.

Quando Ninfo, il terzo fratello, fu in età per pescare passò a Moncenisio, Stefano scese a Viverone e Paolo si stabilì sul lago di Caldonazzo, in Trentino, di cui acquisì in affitto dalla Banca Popolare di Verona i diritti di pesca nel 1937.

Quando crebbe il quarto fratello (Battista) ovviamente passò a Moncenisio, Ninfo scese a Viverone e Stefano passò a pescare sul lago d’Orta fino alla crisi del 1926-29 quando il Cusio morì per i veleni della Bemberg.

Senza più possibilità di pescare Stefano si trasferì allora in Trentino a lavorare in una troticoltura ma presto acquisì i diritti del lago di Caldaro. in Alto Adige, trasferendosi in quella località.

Il fratello Ninfo – che avevamo lasciato a Viverone – accolse anche Battista quando il quinto fratello (Gianni) salì a Moncenisio…e la chiudiamo qui perché rischiamo di perderci.

Intanto l’attuale novantatreenne Italo – figlio di Ninfo – si ritrovò a Caldonazzo nel 1937 quando, undicenne, cominciò a lavorare con il padre pescando nel lago di famiglia. “I locali non ci guardavano molto bene – ricorda – perché da lombardo ero considerato un italiano “delle vecchie province” e verso di noi c’era una forte diffidenza da parte dei trentini, eppure la mia famiglia era stata la prima a gestire il lago come risorsa ittica, con fascine e semine adeguate, inserendo anche nuove specie come i coregoni che divennero una buona fonte di reddito e creando ricchezza per tutti”.

Insieme al padre, Italo proseguì nell’attività di famiglia sviluppando – parallelamente alla pesca – un fiorente commercio ittico fino a un giorno triste del 1978 quando la provincia autonoma di Trento non rinnovò più i permessi per la pesca professionale e Italo rimasto senza lavoro (“Ci espropriarono!”, è la sua versione), tanto che si ritrovò a fare il rappresentante di commercio pur mantenendo sempre la pesca nel cuore.

Ma qui si intreccia la seconda parte della storia che lega strettamente i Dalmeri all’Isola dei Pescatori.

Mentre infatti Italo pescava a Caldonazzo suo padre Paolo – quello del terremoto di Messina e primogenito – aveva già sviluppato il commercio ittico estendendolo in tutto il Trentino e venendo a contatto con i pescatori della cooperativa del Lago Maggiore e soprattutto con la pescheria Zacchera, allora gestita da mia nonna Olga Binda, moglie di Felice Zacchera che era segretario – fra l’altro – della Cooperativa dei pescatori isolani.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale le due famiglie avevano stretti rapporti commerciali e di amicizia che divennero fondamentali quando mio padre Livio, aspirante guardiamarina e sommergibilista, a seguito dell’8 settembre e della sua scelta monarchica, non aderì alla RSI e si ritrovò quindi internato militare in Germania nel campo di Ziegenhein, vicino a Dresda.

Condizioni ambientali e umani terribili, fame nera e – anche se mio padre riusciva a cavarsela meglio degli altri parlando bene il tedesco – erano giorni di grande difficoltà.

Preziosi erano quindi i pochi pacchi-viveri che arrivavano da casa, ma che il più delle volte si perdevano per strada.

Il Trentino, come l’Alto Adige, era però stato territorialmente inserito nel Reich tedesco e da quelle zone alla Germania le comunicazioni erano più facili e quindi scattò la molla di solidarietà dei Dalmeri che cominciarono a spedire direttamente pacchi a mio padre ed altri prigionieri. “All’inizio qualcuno li apriva e rubava quel poco che c’era – ricorda Italo – poi cominciammo a preparare delle cassettine di legno sigillate come quelle per spedire i pesci, ci mettevamo dentro un po’ di pasta, riso, una lattina di olio Dante e un pugno di sale e si spediva tutto verso il nord sperando che arrivassero”.

Ho sotto gli occhi una lettera autografa di mio padre del 10 agosto 1945 – appena tornato all’Isola – inviata ai Dalmeri con uno straziante ringraziamento per tutto quello che avevano fatto per lui e tanti altri che si sono letteralmente salvati dalla fame grazie a quelle preziose cassette che arrivavano pur tra tante difficoltà.

Tornarono poi finalmente i giorni della pace, il commercio e la pesca ripresero regolarmente, ma quella pagina di solidarietà era rimasta sempre nel cuore di Italo e della sua famiglia come di tutti gli Zacchera, anche se nel correre dei decenni e delle generazioni i rapporti si erano persi e non c’erano più stati contatti diretti.

Ma qualche anno fa mio fratello Vittorio ricevette una lettera dal Trentino. Era di Italo che chiedeva se conosceva un certo Livio (mio padre) di cui non aveva più saputo nulla. Purtroppo papà è mancato nel 1990, ma sono bastate quelle poche righe per riallacciare una amicizia profonda e poter leggere documenti e lettere struggenti di anni tristi e ormai lontani ma che hanno segnato la vita di tutti.

(tratto da Gente di lago 2. Chi fosse interessato al volume può richiederlo a marco.zacchera@libero.it)

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