La pandemia arricchisce nostro malgrado il lessico quotidiano.
Disperanza è il termine nuovo, almeno per me, scoperto qualche giorno fa. Una parola che riesce a offrire un’accettabile descrizione della cosiddetta “tristezza da covid”.
La parola è di fatto obsoleta; apparve nella nostra lingua intorno al XIII secolo. Secondo la Treccani la disperanza è lo stato di chi è privo di speranza, ma è una forma più tenue rispetto alla disperazione. Pur tuttavia nell’italiano del passato disperanza e disperazione funzionavano come sinonimi.
Ha approfondito il tema della disperanza di oggi Giulio Cavalli, attore, regista teatrale, personaggio politico. Durante il primo lockdown ha prodotto un libro dall’omonimo titolo.
La disperanza viene descritta come un sentimento dal peso più sostenibile della disperazione che invece assale “chi è oppresso da inconsolabile sconforto e da grave abbattimento morale…”.
Leggendo il libro vi ho ritrovato alcuni tratti del mio stato d’animo di quei giorni, in parte riapparso in questa seconda ondata pandemica.
Sono certa che le persone colpite più da vicino dalla pandemia potrebbero trovarci uno specchio in cui riconoscersi, e recuperare quella confortante sensazione che ci fa riconoscere “quelle” parole come scritte appositamente per dare voce ai nostri più intimi pensieri.
Disperanza è l’inazione che ci ha tenuti sospesi nel lockdown, che ha spinto tanti a ripiegarsi su se stessi per poter reggere l’impatto dell’ignoto rappresentato dal virus.
Disperanza è stata la brusca sorpresa di trovarsi impauriti e fragili dentro una società che per lungo tempo ha esaltato soprattutto la forza e la sicumera.
Disperanza è l’incapacità di immaginare l’esistenza di una luce in fondo al tunnel, di mantenere viva la speranza che in un certo momento le cose possano volgere al meglio.
È, ed è stata, lo choc subìto per aver perso all’improvviso una persona amata, o il doloroso sbigottimento per essere rimasti da un giorno all’altro senza lavoro a causa di un evento sconvolgente, o la repentina caduta della capacità di affrontare la vita di ogni giorno che, prima, si fondava su piccoli ma consolidati sostegni affettivi, materiali e spirituali.
È stato consolatorio trovare delle pagine che riescono a captare alcuni sentimenti della “me” di ieri. Ma anche di oggi, qui rinchiusa in un secondo confinamento sia pure meno duro del precedente.
Mi riconosco nello stato d’animo confuso e un po’ sperduto dell’assenza dei punti di riferimento che riempivano le mie giornate.
Purtroppo la disperanza è anche l’insieme dei danni profusi dalla pandemia, puntualmente registrati da medici e da esperti del campo psicologico e psichiatrico: problemi psicologici nel 65% degli adulti, insonnia, difficoltà a dormire o risvegli notturni (19%), mancanza di energia o debolezza (16%), tristezza o voglia di piangere (15%), paure e timori eccessivi (14%), perdita di interesse o di piacere nel fare le cose (14%), panico e attacchi di ansia (10%).
Accolgo un piccolo ma pratico consiglio dalle pagine di Cavalli: ritrovare la nostra “cassetta degli attrezzi” con cui imparare a ricostruire un pezzetto di speranza ogni mattina; sarà magari una speranza corta, infeltrita, che riesce a spingersi al massimo alla fine del mese ma che, gradino dopo gradino, ci accompagnerà verso la fine del tunnel.
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