(S) I media hanno ricordato in questi giorni una quantità di anniversari, per lo più dolorosi, dal terremoto dell’Irpinia (più di tremila morti) all’inizio del Processo di Norimberga ai capi nazisti, ad alcuni delitti del terrorismo, senza dimenticare un evento che i cattolici e i laici giudicano ben differentemente, come l’introduzione in Italia del divorzio. Ho trovato un po’ strana l’enfasi su questi avvenimenti; non sarà per distogliere l’attenzione dalla gravità di quelli attuali e dalla difficoltà di tutti i governi (cinesi e forse giapponesi e coreani esclusi), nell’affrontarla?
(C) Aggiungo un sospetto, forse più fondato, non si vuole volutamente nascondere qualcosa, ma non si sa quale giudizio dare sul presente e allora si torna volentieri su quegli avvenimenti che sembrano importanti, anzi costitutivi della realtà attuale, nei suoi aspetti positivi, almeno tali per la cultura dominante attuale.
(O) Mi pare che così si mettono insieme cose un po’ diverse. Spiegami meglio in che senso, magari cominciando dal processo di Norimberga, di cui sappiamo poco, praticamente solo che alcuni gerarchi nazisti sono stati condannati a morte, altri a pene detentive nemmeno troppo lunghe.
(C) L’importanza del Processo di Norimberga è nella sua singolarità, rispetto ad ogni precedente e nell’aver dato l’avvio ad una profonda mutazione del diritto penale internazionale. La singolarità consiste in questo: mentre ogni precedente conflitto, in ambito internazionale andava a concludersi con un trattato di pace, magari molto ingiusto, molto oneroso per uno dei popoli vinti, penso a quelli subiti dalla Polonia nel Settecento che portarono a Finis Poloniae, la sua scomparsa come nazione, penso anche a quello di Versailles, molto oneroso economicamente e moralmente per la Germania e per l’Austria, ma si trattava pur sempre di patti tra sovrani; invece nel caso della seconda guerra mondiale non c’è stato un trattato di pace, ma per la prima volta si è preteso da parte del vincitore di sottoporre i capi dello Stato sconfitto a un processo giudiziario per ‘crimini di guerra.’
(O) Vuol dire che gli alleati non volevano limitarsi a vincere la guerra e ad allontanare una minaccia politica e militare; ma che cosa hanno voluto ottenere con un atto di giudizio, un sigillo definitivo di superiorità morale?
(S) A me sembra che soprattutto Stalin abbia voluto apporre un giudizio definitivo sull’ideologia nazifascista, magari anche per far dimenticare al resto del mondo di aver stretto un trattato proprio con i ‘criminali’ nazisti per spartirsi la Polonia e per annettere senza nessun motivo le repubbliche baltiche. Da allora, il nazifascismo o semplicemente il fascismo come categoria politica è diventato il ‘MALE ASSOLUTO’. Poco importa che alcuni dei principali responsabili, Hitler in testa, siano sfuggiti al giudizio e al castigo. Dopo, non è più stato necessario riprendere o approfondire il concetto; ogni azione politica o teoria o singolo avvenimento contrario al marxismo e semplicemente alla strategia sovietica, nel momento in cui veniva bollato, a torto o ragione come ‘fascismo’ veniva identificato come il male assoluto e autorizzava chiunque a combatterlo con ogni mezzo. Modalità di giudicare ripresa dai sessantottini di varia estrazione, spesso litigiosi tra di loro, ma unanimi nel giudicare fascisti tutti gli altri e pronti (Hazet 36, fascio dove sei) a comminare la ‘giusta’ punizione.
(O) Non discuto questo giudizio, che tuttavia potrebbe anche risalire a ben prima, per esempio alla guerra civile spagnola, alla Terza Internazionale, ma non è il caso di sofisticare. Devi però riconoscere, da un altro punto di vista, che giudicare alcuni, in realtà pochi responsabili della tragedia ha consentito all’intera nazione tedesca di riconoscere le colpe, personali e più ancora quelle collettive, e di superarle, senza dover pagare un prezzo morale troppo alto, oltre alle sofferenze inflitte dalla guerra anche allo stesso popolo tedesco. Dopo Norimberga, la nazione tedesca poté rientrare nel consesso dei popoli civili perché le fu concesso di addossare a pochi le colpe di tanti.
(C) Per usare una metafora attuale, è come se la Germania si fosse vaccinata contro il nazifascismo e il vaccino è durato per lungo tempo e, con qualche piccolo cedimento, dura tuttora. Forse è più importante il fatto che dopo Norimberga, anche se non solo per suo merito, non si può più pensare che in guerra ogni comportamento, ogni tipo di arma, ogni danno collaterale inflitto alla popolazione civile sia comunque ammissibile. Norimberga ha fatto grandemente sviluppare il Diritto penale internazionale, proprio andando oltre, pur con decisioni allora apparse, anche a molti tra i giuristi dei vincitori, delle forzature.
Oggi però i nuovi principi giuridici introdotti dal Tribunale di Norimberga sono stati riconosciuti e hanno dato origine allo statuto della Corte penale internazionale, nonché a numerosi altri Tribunali penali internazionali con competenza specifica e durata limitata, quali quelli istituiti da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU internazionali per i crimini commessi, rispettivamente, nella ex Jugoslavia e in Ruanda. La Corte, istituita nel 1998, è un tribunale internazionale a carattere permanente, con sede all’Aia, competente a giudicare individui che, come organi statali o come semplici privati, abbiano commesso gravi crimini di rilevanza internazionale.
Voglio fare un primo rilievo: per ottenere un risultato positivo sono occorsi molti anni, molti compromessi e si notano ancora incertezze e passi indietro. Sono le reticenze di alcuni stati, USA, Russia e Cina in particolare perché non aderenti alla Corte, a condizionare una soddisfacente applicazione del diritto penale internazionale, anche come forma di prevenzione di crimini, non solo di guerra, ma di genocidio e contro l’umanità.
A questa lentezza fa rilevante contrasto la velocità crescente della diffusione dei cosiddetti nuovi diritti.
Prendendo spunto dalla citazione del cinquantenario dell’istituzione del divorzio in Italia e delle roventi polemiche culminate nella campagna referendaria susseguente, non si può non notare l’ampiezza del cambiamento di mentalità intervenuto in Italia e in generale nei Paesi europei di tradizione cattolica. Un sito internet (Novecento.org) cui lascio la responsabilità dell’autenticità della citazione, mette in bocca al segretario della DC, Amintore Fanfani nel corso della campagna referendaria, questa colorita espressione: “Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora il matrimonio fra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!” Profeta suo malgrado.
(S) Che la libertà abbia occupato quasi tutto lo spazio della giustizia, tranne sicuramente quello in campo economico, non mi meraviglia, perché nulla più mi meraviglia. Ma per tornare alla mia iniziale proposizione dell’argomento di cui stiamo discutendo, mi chiedo da dove possiamo trarre le energie morali e anche le risorse materiali per uscire da questa crisi o almeno fronteggiarla. Secondo me i semplici appelli alla generosità, al sacrifico, all’attenzione, alla prudenza, a qualsivoglia comportamento virtuoso, chiunque li faccia, il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il virologo illustre, i vescovi, il Papa in persona, sono destinati a rimanere ben poco efficaci, se non inascoltati. E non vedo rimedi. L’appello alla buona volontà poteva valere a quel tempo, quando c’era ancora un popolo con una fede religiosa e un senso di unità nazionale, non isterico come quello attualmente preteso, ma umanitario.
(O)Non si tratta più di mancanza di fede religiosa, soppiantata da una diversa concezione della vita, da una morale magari atea, ma dotata di una specifica consistenza culturale: oggi devi chiamarlo nichilismo, relativismo, opportunismo… Guarda questo esempio: mentre capisco la drammaticità della situazione del medico che deve decidere a chi dare l’ultimo respiratore di cui dispone, non riesco nemmeno a immaginare il ‘cuore’ del consigliere comunale di una città e di un partito che non voglio nemmeno nominare, che ha messo su Facebook questa frase: “Ormai questo piagnisteo sulle vittime penso che abbia stufato tanti italiani, per salvare poche migliaia di vecchietti stiamo rovinando la vita a un sacco di giovani”, ma purtroppo la trovo coerente con la mentalità dominante, quella per cui la libertà ha preso il posto non solo della giustizia, ma pure della libertà.
Aggiungo un episodio più significativo, perché sicuramente non imputabile ad ignoranza. Il commentatore da prima pagina del più autorevole quotidiano italiano ha letteralmente sbeffeggiato un vescovo che si era permesso di valutare “l’aborto un peccato più grave della pedofilia”, accusandolo di non capire la differenza tra un diritto, il primo e un reato, il secondo. Trascurando la differenza tra peccato e reato e forse anche ricordando a me stesso che il catechismo imparato da bambino non faceva differenza tra peccati ‘mortali’, quali mi sembrano entrambi quelli evocati, non posso evitare di lamentare l’affermata scomparsa, nel giudizio del giornalista, di ogni riferimento ad un diritto naturale antecedente a quello positivo espresso dalla legge. Ci leggo un’evoluzione del pensiero ancora più drammaticamente profonda rispetto a quelle relative a matrimonio e omosessualità.
(C) Parlando di diritto naturale, hai messo insieme due termini oggi troppo elastici, stiracchiati in tutte le direzioni. Però, forse, cogli nel segno. Quando le autorità civili e religiose ci richiamano, ognuno per le proprie competenze e con le proprie visioni della vita e del mondo, quando ci chiedono di coniugare tutti i nostri sacrosanti diritti con qualche dovere e con qualche limite, tocca a noi capire quanto questi richiami coincidano con la nostra vera natura, in modo da poter capire e mettere in pratica quei comportamenti virtuosi che consentono l’equilibrio tra diritti e doveri. Così non avremo bisogno voltarci indietro per ritrovare nel passato, invece che nel futuro, frammenti di verità e segni di speranza.
(S) Sebastiano Conformi (C) Costante (O) Onirio Desti
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