Al momento la sfida tra Galimberti e Maroni per la carica di sindaco non scalda più di tanto le passioni dei varesini. Stimo Davide. È stato un amministratore capace, intraprendente e laborioso. Ha potuto contare su alcuni assessori altrettanto capaci, intraprendenti e laboriosi. È un bravo pilota che tiene in quota la linea di volo di un vecchio DC9. Per non subire troppo le turbolenze maneggia la cloche con pragmatismo. La sua carta vincente è la pacatezza. Rassicura. Non ama il protagonismo e l’aggressività dei leghisti, dei grillini e dei postfascisti. Ha un animo gentile. Più volte ha chiuso un occhio con persone sopra le righe pur di non deturpare il suo approccio pacato.
Nell’ultimo anno si è prodigato molto, nei limiti ristretti delle competenze dell’Ente locale, per affrontare l’emergenza sanitaria e le sue conseguenze su vari settori produttivi e commerciali e sui più deboli; e ha impresso un’accelerazione portando a termine una lunga fase di studi e di progettazioni in campo urbanistico e viabilistico. Ma sin dall’inizio aveva avviato progetti decisivi per il futuro. I frutti si cominciano a vedere. Lentamente la città sta cambiando, benché ancora non reagisca agli impulsi con la dovuta energia. Questi pregi e le molte cose fatte potrebbero non bastare. Servono a poco le briscole se manca l’asso. Non c’è l’effetto stanchezza, la nausea che affondò i berluscoleghisti locali; ma l’ovatta e la disaggregazione generate dalla pandemia frenano gli entusiasmi e gli apprezzamenti.
Per la stampa (non tutta, ndr) lo sfidante parte favorito. Ci sono molte controdeduzioni, La sua coalizione è solidificata dal cemento del potere, ma è indebolita dalla mediocrità della Lega nazionale, regionale e locale e dalla liquefazione di Forza Italia dopo gli scandali. Tra gli alleati non si vedono volti nuovi. Maroni è un curriculum: ex questo, ex quello, ex quell’altro. È stato un inesistente consigliere comunale. Le numerose assenze, il mutismo e il disinteresse quando è venuto, chino sullo smartphone anche nel momento solenne del giuramento di Galimberti, non hanno certo mostrato l’amore che vanta per la città, la solita solfa retorica che intossica il discorso pubblico nei villaggi.
Una quota dell’elettorato di destra o non schierato non ha mai del tutto digerito i radicalismi della Lega. Nel remoto novembre 1997 la corsa solitaria dei leghisti si concluse con un testa a testa tra il vincitore, Aldo Fumagalli, e Riccardo Broggini, stimato professionista e esperto amministratore in quota a Forza Italia. Molti elettori dell’Ulivo, già scivolati su Montoli, scelsero sciaguratamente il primo. Non conosco altri oltre a me che abbiano scelto Broggini. I segni di stanchezza erano visibili dal 2011. I politici non riflettono mai abbastanza sulla distanza tra i voti di lista al primo turno e la scelta di un sindaco al ballottaggio. Galimberti prevalse perché molti elettori che al primo turno avevano appoggiato i candidati del centrodestra o i centristi raccolti da Malerba respinsero, per stanchezza, con il voto o con l’astensione, la coalizione di Orrigoni.
In questi 54 mesi l’opposizione ha fatto ostruzionismo, guerriglia e goliardia su cose secondarie. Anche quando è riuscita a fare clamore ha mostrato di non avere idee o figure credibili, non ha saputo prefigurare un’alternativa amministrativa decente e anzi se ne è disinteressata per presunzione e supponenza. La pochezza del ventennio leghista sembra addirittura accresciuta, e non promette nulla di buono per la coalizione di destra. La ritrovata coesione dentro il suo ceto politico non la libera dalla mediocrità e non le ridà né smalto né appeal. La volatilità e volubilità degli elettori può premiarla, ma anche no. A destra della destra un manipolo di incendiari ha tentato invano di infuocare le piazze. La storica moderazione di Varese non agevola gli estremisti.
Nessun outsider insidia i due rivali. Non c’è Paragone, Gregori sì. Su Galimberti e Maroni pesano alcune incognite: l’evoluzione delle vicende nazionali; i risultati di un governo mediocre; il riflusso dei populisti; la pandemia; la recessione; le difficoltà della Lombardia, dove il sistema sanitario privatistico ha dato pessima prova di sé e dove Fontana e soci veleggiano verso il naufragio. La sfida nazionale al momento è penosa: tra il meno peggio e il tanto peggio tanto meglio. Nessuno invita in modo credibile a perseguire l’un po’ meglio. I due candidati sapranno sfuggire a queste strettoie?
Galimberti ha i suoi problemi. Non ha ancora una coalizione. Movimento Concittadino potrebbe drenare i consensi che furono di Varese 2.0. Difficile valutare la tenuta del PD, la consistenza di Italia Viva, l’affidabilità, le pretese e l’esistenza stessa dei grillini. Le altre sigle sono rami secchi o aborti a somma zero. Galimberti può provare a vincere costruendo e guidando una lista ben calibrata, evitando l’eterogeneo assemblaggio acchiappatutto del 2016.
Chi si candida a un secondo mandato necessita di colpi d’ingegno e di ardimento. Esorto Davide a configurare un’organica rappresentanza sociale, produttiva e intellettuale e a far emergere le tante energie vive della città. Non servono rammendi nell’illusione di sommare voti, trattative con sigle vuote, capigruppo uscenti e pensatoi inutili. Trovi, attragga e amalgami figure di prestigio o talenti che rappresentino il lavoro, le professioni, il mondo studentesco e universitario, le diverse generazioni, i nuovi italiani, gli operatori del terzo settore. Chieda il consenso sulla qualità, le capacità e il ruolo pubblico dei candidati.
Sia più prudente e più deciso rispetto al 2016. Prevenga le reiterate aggressioni del fuoco amico che lo hanno indotto a sacrificare Cecchi ai vari pugnalatori dell’assessore straniero. Dica no ad ambiziosi, infidi, trombati testardi, profughi, veterani, provincialotti vanesi, dilettanti, narcisisti, questuanti. Non prometta a destra e a manca. Non sottoscriva accordi su nomi, ruoli, incarichi. Metta finalmente in piedi una squadra di comunicatori capaci, creativi e briosi.
Seppur nel rispetto delle procedure sanitarie, interagisca con i corpi, e con gli sguardi, le voci, le emozioni e i pensieri che si incrociano. Atmosfere, sentimenti, passioni e aspettative non ci costruiscono in vitro. Si rivolga agli astenuti e agli incerti che si annidano nella fascia di elettori tra i 18 e i 40 anni. I moderati e il centro sono non-luoghi.
Non faccia leva sulle sole cose fatte, sui progetti in corso di attuazione che hanno finalmente scosso la città da quarant’anni di immobilismo e sui programmi ambiziosi che si impegnerà a realizzare. Provi a suscitare e indirizzare energie, accenda speranze e attese, mobiliti i cittadini attivi. Non mancano a Varese persone di qualità, animate da sobri valori partecipativi che abbracciano la gratuità dell’impegno civile, si attendono un’interlocuzione pubblica ma non vogliono avere casa in una sigla.
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