In un articolo precedente ho scritto alcune righe sulla situazione demografica e le dirette conseguenze sull’impianto del welfare, con le relative implicazioni verso il sistema pensionistico. Questo sistema, come sappiamo, poggia su un patto molto delicato che vive grazie al consenso generazionale. Chi paga oggi i contributi deve poter pensare che un giorno verrà trattato allo stesso modo: riceverà il dovuto, a seconda dei contributi versati, e la pensione sarà pagata dai futuri lavoratori. Ma la situazione paradossale è che i vecchi di oggi sono falcidiati dalla pandemia e i giovani non trovano lavoro. Se non riusciremo a fermare il contagio, si fermerà anche l’economia. I sanitari saranno costretti a decidere se, sopra la soglia del settantacinquesimo anno, quella fascia d’età verrà trattata d’imperio in maniera diversa; sarà collocata in una seconda graduatoria e in coda ai più giovani. A parte qualche logico e fastidioso brontolio, tutti concordiamo che le giovani generazioni non debbano essere penalizzate! Ma penalizzate da chi? E su cosa?
Certamente non dagli ultra settantacinquenni! A loro si deve molto di quanto sin qui realizzato. Nel welfare ad esempio. Nel campo del lavoro almeno dallo Statuto dei lavoratori in poi. Nella costruzione e sviluppo della sanità pubblica, poi costretti a ridimensionare. Nella scuola e persino nella creazione e protezione dei posti di lavoro; però mentre da un lato si cercava una nuova protezione: la cassa integrazione, dall’altro le imprese rispondevano con la delocalizzazione del manifatturiero per pagare meno il lavoro e accrescere gli utili. Sono solo alcuni esempi e tra questi dovremmo inserire la formazione degli attuali ultracinquantenni. Infine l’aiuto fornito ai loro figli, i beneamati nipotini.
Queste note sono state incrociate con i dati della pandemia. Come prima accennato, alcuni pensano di ghettizzare una buona parte dei più fragili. Ricordo che, al primo gennaio 2018 la popolazione residente in Italia era pari a sessanta milioni e 484 mila persone, in lieve calo per il quarto anno consecutivo. L’età media era di 45,2 anni, il riflesso di una struttura in cui solo il 13,4 per cento della popolazione aveva meno di 15 anni e il 22,6 per cento 65 anni e più. La popolazione di oltre 80 anni raggiunge, oggi, il 7 per cento (questi alcuni dati dall’ultimo censimento Istat).
In più, si dice che gli immigrati gravino sul nostro welfare e contribuiscano ad abbassare il costo del lavoro. Non è affatto vero, dobbiamo pensare agli immigrati regolari, quelli ai quali permettiamo di pagare i contributi sociali. Loro stanno tenendo in piedi il nostro sistema pensionistico perché versano, ogni anno, alle casse dell’Inps circa 14 miliardi di euro e ne prelevano soltanto 7 tra pensioni, prestazioni assistenziali, assegni al nucleo familiare e altri trasferimenti. La ragione per cui prelevano così poco è che sono molto più giovani degli italiani. Sono anche questi lavoratori che pagano il dovuto agli attuali pensionati, contando sul patto generazionale. Quindi se questo patto dovesse incrinarsi, tutto crollerebbe.
L’altra domanda sulla penalizzazione riguarda il cosa! Certamente ci tocca parlare di economia. Dovrebbero arrivare “camion di denaro” dall’Unione Europea. Molto probabilmente il vero problema sarà come spenderli. Una seconda occasione dopo il Piano Marshall post bellico. Se spesi bene, perché una fetta dovremo comunque rimborsarla, potremmo certamente ricreare le condizioni di allora e avviare un periodo di ricostruzione. Provo a proporre alcune indicazioni, scusandomi sin d’ora per le dimenticanze che certamente ci saranno. Per cominciare basterebbe un allineamento ai parametri comunitari di tutte le voci della pianificazione nazionale; questo rassicurerebbe noi italiani oltre che i partner Europei. A seguire: effettuare il pagamento dei debiti nei confronti degli imprenditori i quali aspettano da troppo tempo. Risolvere il funzionamento della Magistratura. Procedere allo snellimento di tutta la Pubblica Amministrazione: molti vincoli operativi sono stati creati volutamente dai vertici “burocratici” per fuggire dalle loro responsabilità che comunque continuano a non assumersi. Rimodulare il rapporto tra necessità e utilizzo del personale sanitario sulla popolazione, eliminando le attese non giustificate e insostenibili. Usare parte degli investimenti per migliorare tutto il sistema formativo: vogliamo un futuro di persone competenti o di asini! La digitalizzazione non si impara cercandola con un colpo di bacchetta magica e questo aspetto riguarda anche una fascia di popolazione con età superiore a quella scolastica. Insegnare e far capire ai Presidenti di Regione quale sia la corretta interpretazione della Costituzione e il ridimensionamento del potere: non è possibile proporre soluzioni perennemente in contrasto con ciò che il Governo Centrale dispone! Chiudere il capitolo sull’evasione fiscale; non è più ammissibile che l’Irpef sia pagata solo dai lavoratori dipendenti e dai pensionati. Rispettare i vincoli di un piano seriamente ecologico. Insomma sviluppare un’economia sostenibile, in grado di mettere in moto un circolo virtuoso. Con i giusti provvedimenti si aumenterebbe anche la produttività generale dell’Azienda Italia.
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