Ho affrontato anch’io la città deserta. Poco prima di mezzogiorno sono uscito di casa, ho preso l’autobus e sono arrivato in una farmacia della città. Solitudine, silenzio insolito, interrotto solo dalla stridente sirena di un’autombulanza. Ho cominciato a passeggiare senza pensieri. La fontana di Monte Grappa chioccolava non sommersa dal solito chiacchiericcio. Mi fermavo, ascoltavo, mi guardavo attorno. Perfino il Garibaldino mi sembrava meno temprato. Procedevo, ma mi sembrava di non dovermi mai allontanare dalla fermata dell’autobus. La città deserta incute un senso di solitudine, di caduta., quasi di paura. Senza gli altri, mi sento fragile, debole, provato. Eppure dietro a quelle saracinesche chiuse, alle finestre serrate, alle porte sbarrate c’è la vita: qualche famigliola seduta a tavola per condividere pane e affetti, il giovane commesso che si accontenta della piadina da spartire, tra un sorso di birra e l’altro, con il collega, la vecchietta dell’ultimo piano imboccata dalla badante.
Nella città deserta ritrovo le mie dimensioni fondamentali: la debolezza della solitudine, l’assenza della convivialità, la provocazione del dubbio, ma anche la solidarietà, la ricerca dell’ascolto, della fiducia, l’assenza del rumore che fino a pochi giorni fa mi infastidiva.
Vivo nel cuore pulsante della città, della città religiosa, dei palazzi del potere amministrativo, finanziario, commerciale, industriale: dietro alle facciate delle banche abitano gli adepti che si prostrano davanti al dio danaro, vivono impassibili, distaccati gli uomini chiamati a servire la città, in certi uffici regna il “menefreghismo”, un sostantivo comune un po’ volgare, ma che definisce bene l’atteggiamento di alcuni burocrati, in altri si manifestano la corruzione e l’inerzia, in una sede l’odio e il rancore, mentre nella basilica entrano i consumatori del sacro. Il Bernascone suona le ore e mi risveglio dai miei pensieri.
Rifletto: “Questa città, tutte le città, l’Italia, l’Europa, il pianeta hanno bisogno di profeti!”, cioè di donne e di uomini che “ricevono da Dio la capacità di scrutare la storia nella quale vivono di interpretare gli avvenimenti” (papa Francesco), che non predicano il futuro, ma lo preparano, non si attardano solo a condannare il passato, non stabiliscono con esso alcun confronto, ma guardano avanti. Hanno il coraggio di dire che il nero è nero e il bianco è bianco.
La schiena mi duole, i bar sono chiusi ed io attendo l’autobus. Trovo una panchina e provo a figurarmi la voce e l’immagine di Giovanni, il Battezzatore, che lentamente mi viene incontro. Non è vestito di pelli di cammello, con una cintura ai fianchi, non è segalino per i troppi digiuni, la chioma prorompente, la barba ispida. No, no, indossa giacca e cravatta su una camicia bianca sotto un vestito grigio Londra. Nell’afflizione della città, con la sua voce stentorea grida: “Ho una notizia, udite, udite! Ascoltatemi! Ho trovato l’Uomo che può risolvere i nostri problemi: colui che strappa dai nostri petti l’avarizia, che ci dice che l’unica ricchezza è l’uomo, colui che tratta i nemici da amici, colui che sa trasformare le armi in falci, che impedirà di perpetrare le violenze contro i deboli, che cura gli oppressi perché la loro carne è preziosa, che non ha nulla da spartire con noi perché ha avuto amore per tutti, colui che intende la vita come incontro e vede nella nostra città il luogo dell’amicizia. Udite: non ci invita ad essere frenetici consumatori, ma sereni produttori di bene, non ci invita a organizzare solo reti di assistenza, ma ad avere compassione dell’altro. Ci chiede di passare dall’egoismo alla condivisione, dall’incoerenza alla coerenza, dall’incoscienza all’ascolto. È un Uomo, mandato dal Padre, per vivere in mezzo a noi perché noi possiamo vivere tutti da fratelli: la sua bontà, fissa sugli abbandoni, sulle esclusioni del fratello, sui tradimenti e sugli odi del mondo, è il miracolo che un giorno ci metterà tutti in ginocchio. Io l’ho incontrato. Non l’ho visto, ma lo sento dentro di me, accanto a me. Accoglietelo non con le luminarie sulle strade, con gli addobbi nelle vetrine, con gli schiamazzi. Preparategli piuttosto la strada del vostro cuore: raddrizzatelo, colmatelo di gioia. Preparatevi!”
Il profeta in giacca e cravatta si dirige verso l’arco Mera. Io lo seguo. Allarga le braccia e le propende verso la basilica:” Voi, cristiani, siete i primi ad aver dimenticato Colui che attendete. Vi arrestate alle ambientazioni emotive, ai pifferi, ai canti, al suono dell’organo, pensate già ai regali prestigiosi o futili, ma non al dono del Padre che è offerta di amore! E voi, suoi sacerdoti, non stancatevi di richiamarci la Sua Parola, che non è feticismo, legalismo, moralismo, ma richiamo alla conversione. E fatelo con franchezza: la comunione con Lui non è solo osservanza della legge, ma comunione con i fratelli”.
Il campanile scocca la mezza ed io mi avvio verso l’autobus. Salgo, mi accorgo di aver sognato, ma non voglio spegnere questo sogno, estinguere nel mio cuore ciò che potrebbe diventare realtà: perderei la voglia di vivere e strapperei dall’animo questo seme di felicità. Le parole che ha urlato non sono forse vere? Chi può garantirmi che il grido salutare del profeta in doppio petto non sia scolpito nel cuore di ognuno?
Apro il mio libricino e leggo: “In quei giorni”: l’annuncio di Giovanni il Battezzatore può accadere anche in questi giorni se vivo la sua Parola che è valida anche oggi. “Convertitevi perché il Regno è vicino”: devo abbandonare tutto ciò che fa male all’uomo – i miei momenti di ira, la mia pigrizia, la mia scelta del disumano – devo cambiare lo sguardo con cui vedo persone e con cui interpreto avvenimenti, devo cambiare strada, ossia osare la vita, ma non per eseguire un comando, per rispettare le norme, ma per realizzare qui in terra il Regno, una nuova architettura del mondo, come il Padre la sogna. “Io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli di Adamo”: l’ha scritto anche il premio Nobel per la letteratura Nelly Sachs – conoscitrice delle Scritture più di me perché ebrea: “Occorre far sprizzare scintille divine dalle pietre [e lasciar parlare] coloro che irrompono nella notte e che con la loro voce incidono ferite cercando un orecchio come patria, un orecchio non ostruito da ortiche”. Forse sono diventato sordo? No, colui che Giovanni annuncia trasformerà il mio cuore di pietra in tenero cuore di figlio.
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