Alla vigilia del nuovo lock down ci è stata chiesta una parola come se noi che in clausura viviamo per scelta potessimo offrire una risposta alle mille domande, preoccupazioni e angosce che oggi riempiono il cuore di tutti. Ecco, la domanda ci interroga prima che a trovare una risposta sulla possibilità di un confronto. A dire il vero nel periodo da marzo a maggio scorso noi ci siamo sentite immensamente fortunate rispetto a tutti voi perché la nostra vita non è più di tanto cambiata, perché potevamo muoverci liberamente entro il monastero che è un mezzo paese e un enorme famiglia con un magnifico panorama reso ancor più bello dal minore inquinamento e dal silenzio, perché non abbiamo dovuto indossare mascherine, perché con sacrificio tanti hanno continuato ad aiutarci portandoci l’occorrente per la vita quotidiana e con un po’ di essenzialità in più non ci è mancato niente, perché è stata occasione per farci ancor più carico dei bisogni le une delle altre.
Certo abbiamo anche noi condiviso la paura per un nemico minuscolo e invisibile che nonostante tutte le precauzioni poteva raggiungerci e tra noi tante sono le anziane! Certo ci è spiaciuto molto dover interrompere l’ospitalità. Certo sono state anche nostre, e forti, le preoccupazioni per la salute di parenti e amici, per il carico di lavoro del personale sanitario, per la situazione economica, per la responsabilità che grava sui politici e su tutti: tutti responsabili della salute degli altri …
Cosa possiamo dunque dirvi oggi davanti a queste nuove chiusure? Non abbiamo ricette da suggerirvi perché possiate viverle un po’ serenamente. Non abbiamo soluzioni, proviamo però a offrirvi un racconto, il racconto della nostra scelta e il dilatarsi degli spazi proprio dentro la nostra clausura, il miracolo del limite che apre all’infinito. È un racconto, una testimonianza, non sappiamo se intercetta il vostro vissuto di questi giorni. Ve la offriamo come un possibile punto di fuga perché la vostra quotidianità possa disegnare una prospettiva e trovare maggior profondità.
Dunque perché varcare un portone che si chiude dietro di sé tracciando un confine tra dentro e fuori e anche tra prima e dopo? Una scelta così esclusiva ed escludente è mossa dalla ricerca di una pienezza che tanti indizi fanno supporre essere dietro quel portone. Amo la casa dove dimori e il luogo dove abita la tua gloria recita un Salmo. La dimora è un luogo di relazione, il dimorare dice la ricchezza e la fisicità del nostro appartenere a qualcuno. Per noi il chiudersi di una porta dice più che distanza appartenenza ed una appartenenza in cui ritrovare ogni legame, ogni volto perché il nostro Sposo tutti abbraccia nel suo amore. Così non possiamo dimorare in questa casa se non cantando, se non vivendo la gratuità del donare tutto il nostro fiato, la nostra vita effondendo liete parole, domandando fino a quando o perché, invocando vieni a salvarmi, Signore vieni presto in mio aiuto … cantare ovvero comunicare con quell’eccesso di fiducia di chi riconosce una sproporzione rispetto al proprio interlocutore.
Sì c’è una sproporzione che proviamo a colmare con l’eccesso del canto sapendo che nulla ci è dovuto e tutto è dono, che poco possiamo capire, ma tutto ci è offerto, che ogni relazione, a partire da quella con il nostro Creatore e Redentore, vive sul registro della gratuità e della sorpresa. Ed il nostro canto sulle tonalità della gratuità e della sproporzione ha origine e culmina nell’umiltà del silenzio, nel saper patire la solitudine nell’attesa fiduciosa di essere colmati dall’Altro e dagli altri. Il silenzio non è straziante se vive dell’umiltà e della fiducia, se è aperto allo stupore nella pazienza dell’attesa. La mancanza che risuona in questo silenzio, anche la mancanza che sono io, verrà colmata e diventerà canto e nel canto risuonerà una promessa ed anche una supplica che nuovamente attenderà nel silenzio … così il tempo scorre nella fiducia verso il compimento.
Ed in questa casa, come in ogni casa, il dimorare ha il ritmo delle esigenze quotidiane, del mangiare e del dormire, del maturare e dell’invecchiare, così che il dimorare si coniuga nel servire e nell’accogliere, nel farsi prossimi alle esigenze dell’altra, anche l’esigenza di un sorriso, di una risata, di una condivisione. Anche per questo il nostro dimorare è tutt’altro che statico, viaggia attraverso l’esperienza e i bisogni di ciascuna di noi, viaggia attraverso i passi del donarsi e dell’accogliere in un continuo andar oltre noi stesse.
E a dilatare ancora il nostro limitato spazio è lo scoprirci tante volte a terra, cadute per il peccato. Alla beata Caterina fu detto che poteva accogliere chiunque purché venisse a fare penitenza, purché iniziasse l’infinito cammino di riconoscere il proprio limite come sempre nuovo punto di partenza grazie alla misericordia di Dio e dei fratelli.
Ed infine, ma forse in principio, la speranza. È la speranza che ci chiude qui dentro: così noi possiamo contemplare l’orizzonte intorno a noi muoversi e crescere non per le nostre forze soltanto, ma per una promessa che ci è offerta. E se la speranza già qui semina i suoi frutti, certo si compirà oltre quella porta che si aprirà con la nostra morte quando alla nostra impotenza risponderà l’onnipotenza misericordiosa di Dio.
Vi lasciamo così, con questi spunti sperando di condividere con voi, oltre la limitazione di spazi e di attività, innanzitutto la speranza e la possibilità di rialzarsi dopo ogni caduta ed in ogni fatica; e poi il quotidiano donarsi nelle piccole cose, quel perdersi per ritrovarsi nell’altro; e ancora il silenzio e la solitudine aperti all’attesa e che fioriscono in una comunicazione gratuita capace di riconosce la bellezza e la domanda dell’altro e per questo di alimentare la speranza …
You must be logged in to post a comment Login