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La recrudescenza della pandemia da Coronavirus ha colpito maggiormente quelle province che meno avevano patito l’emergenza della scorsa primavera. Milano, Monza, Varese e Como registrano numeri ben peggiori rispetto agli altri capoluoghi lombardi e, benché la progressione dei nuovi contagi si stia linearizzando, purtroppo la pressione sul sistema sanitario è arrivata a un livello critico a tal punto che anche una crescita lineare diventa difficile da gestire. A tal proposito, è bene sottolineare che siamo ancora in una fase di espansione dei contagi e, quindi, serve mettere in campo tutte le misure possibili per arginarli.
Eppure, la gestione dell’epidemia da parte di Regione Lombardia presenta delle lacune evidenti, come ampiamente dimostrato dai dati epidemiologici. Anzitutto, la percentuale di casi positivi rispetto al numero di tamponi effettuati nelle persone «nuove» è arrivata al 40%. Questo dimostra non solo l’ampiezza del contagio ma anche la quasi totale assenza di tracciamento dei contatti dei positivi. Come ribadito più volte dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità la situazione epidemiologica è sotto controllo quando questo dato rimane sotto il 5%. La percentuale dei casi positivi sul numero di tamponi efficaci (positivi + negativi) rimane vicina al 30%. Non si rilevavano valori simili da aprile. I ricoveri – sia ordinari che in terapia intensiva – dopo la crescita esponenziale di ottobre ora si stanno linearizzando. Pure in questo caso non veniva registrato uno stress simile sulle strutture ospedaliere lombarde da aprile, momento di massima criticità del virus durante la prima ondata.
Questi riferimenti mettono in luce come in Lombardia sia mancata una qualsivoglia tipologia di riprogrammazione dell’apparato sanitario in vista di una seconda ondata, quasi non la si aspettasse. Nondimeno, tutti eravamo ben consci del fatto che con l’arrivo dei primi freddi e la ripresa a pieno ritmo delle attività lavorative e scolastiche si sarebbe verificata un’impennata dei contagi. Non è stato fatto molto, per non dire nulla. Per quanto riguarda gli ospedali e, di conseguenza, la degenza dei pazienti covid, non c’è stato nessun incremento dei posti letto e nessun investimento ponderato per portare a regime il personale medico, infermieristico e sociosanitario a fronte delle reali necessità odierne. Il risultato è che a oggi non solo persiste una pesante penuria di personale e quello in servizio è costretto, giocoforza, ad affrontare massacranti turni di dodici ore ma, ancora peggio, gli stessi ospedali sono privati di alcuni dei loro professionisti che vengono dirottati verso l’ospedale in Fiera a Milano.
Come se non bastasse si riscontrano parecchi problemi anche dal punto di vista territoriale. Difatti, le Unità speciali di continuità assistenziale continuano ad essere insufficienti e, pure in questo caso, non è stato fatto molto. Questo è un errore grave in quanto le Usca, se ben strutturate e allineate alle direttive del Governo che ne prevede una ogni cinquantamila abitanti, giocherebbero un ruolo fondamentale nel contenimento del virus nei territori, passo determinante nella “sfida” al Coronavirus. Altra nota dolente è il fronte vaccini, una vera e propria un’odissea: non sono bastate, infatti, più di 10 gare d’acquisto a prezzi fuori mercato per portare un quantitativo di dosi sufficiente a coprire le categorie a rischio. E, all’orizzonte, non si vedono spiragli adatti ad aprire una breccia per risolvere la situazione. Il risultato è che da una parte centinaia di migliaia di persone appartenenti alle categorie a rischio non potranno usufruire di un diritto che gli spetterebbe gratuitamente e, dall’altra, la circolazione di due virus con sintomatologie praticamente identiche porterebbe non pochi problemi al nostro sistema sanitario che dovrebbe aumentare la propria potenza di fuoco anche solo per discernere un virus dall’altro, causando ritardi nella diagnosi dei casi covid. Infine, altro punto debole della gestione di Regione Lombardia riguarda i “covid hotel”, ossia quelle strutture in cui vengono ospitate le persone covid positive che non hanno bisogno di urgenti cure ospedaliere. Infatti, la Delibera Regionale con cui vengono istituite risale allo scorso 5 agosto mentre i bandi delle Ats sono stati indetti solo poche settimane fa. Un ritardo imperdonabile.
Alla luce di queste problematiche è chiaro che la politica regionale debba mettere in cima alle proprie priorità una nuova legge regionale che regolamenti il sistema sanitario. Infatti, i limiti Legge 23 del 2015 non nascono con l’esplosione della pandemia che, anzi, ne ha solo sottolineato le ingenti criticità. Serve una riforma.
Samuele Astuti, consigliere regionale Pd
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