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Libri

LA NOSTRA ARCHISTAR

ROSALBA FERRERO - 13/11/2020

 

Luigi Vermi, pur essendo autore significativo nel dipanarsi dell’architettura italiana e pur avendo realizzato opere importanti per il tessuto urbano di Varese, è stato sinora ignorato dalla critica e dal pubblico. Un volume curato da Andrea Ciotti, frutto del lavoro di ricerca e catalogazione di un gruppo di architetti dell’Ordine di Varese, colma un vuoto culturale lungo decenni.

Pochi in città associano il nome Vermi a edifici pubblici e privati presenti sul territorio, che si distinguono per la ricercatezza e l’eleganza della forma. Sono sotto gli occhi di tutti un condominio a facciata obliqua, i cui caratteri specifici sono il cemento e i balconi a giardino digradanti: il complesso di via Talizia che, giungendo a Varese in autostrada, si nota sulla destra; o il condominio cilindrico ottagonale che svetta sulla curva dell’anello viario circolare, superata la piscina comunale; o la villa in cemento e mattoni all’altezza del Masso Sacro, lungo la strada che porta alla Questura.

Le opere di Vermi contribuiscono a disegnare lo stile della città, a confermarne l’impronta elegante. Deriva dalle architetture prestigiose del Sei e del Settecento, Casa Litta o Villa S. Francesco, Villa Tamagno e Villa Panza, Villa Recalcati e Palazzo Estense, insieme alle numerose ville liberty.

Nel tessuto urbano cittadino questi edifici dialogano armoniosamente con i più recenti palazzi scritti nel linguaggio razionalista, che alcuni impropriamente ancora definiscono fascisti, perché realizzati durante il ventennio, usando tale aggettivo invece che il termine corretto in uso nel linguaggio dell’architettura. Hanno caratteristiche formali di rilievo, come i palazzi di piazza Monte Grappa e la Questura, la Casa della Posta di piazzale Trento e la Palestra dei pompieri.

Negli anni sessanta del boom economico, c’è stato un proliferare di costruzioni spesso realizzate con scarse qualità tecniche e formali, con altrettanto scarsa attenzione ai materiali; sono stati generati ‘mostri’ che assolvono sì alla funzione abitativa, ma sono stati concepiti con intento locupletativo, che ha portato allo sfruttamento del suolo e delle volumetrie consentito da amministrazioni comunali poco attente all’immagine urbana, come la ‘nave’ di Biumo o i condomini intorno alla Brunella o il mastodontico palazzaccio ‘di lusso’ che ha sostituito la villa Trolli: edifici assolutamente privi di gusto, obbrobri che deturpano l’aspetto estetico della città.

In tale periodo al moltiplicarsi dei cantieri non si è appaiata una coscienza architettonica e sono poche le figure professionali di rilievo che hanno realizzato interventi urbanistici o progettato edifici di qualità. Tra le poche, occupa un posto di rilievo Vermi. Nato a Milano nel 1916, si iscrive al Politecnico dove conosce Gardella e Zanuso il cui ‘linguaggio razionalista’ diventa uno dei tasselli della sua cifra, si laurea nel 1939 e sostiene l’esame di stato a Torino, ma subito dopo è chiamato alle armi e destinato all’Africa settentrionale; cade prigioniero in Algeria ove incontra Le Corbusier le cui idee programmatiche diventeranno ulteriore spunto di riflessione per il suo pensiero. Dimenticato, come tanti altri militari italiani in mano agli Alleati dopo il 1943, solo alla fine del 1946 torna in Italia e apre uno studio a Milano insieme agli architetti Mozzoni e Ghidini, coi quali partecipa nel 1947 all’ottava Triennale, che nel difficile clima economico e sociale dell’immediato dopoguerra ha per tema ‘l’abitare’. Solo nel 1959, dopo una intensa collaborazione iniziata nel 1958 con l’Azienda di Soggiorno di Varese, per la quale ha realizzato lo studio ‘Varese in funzione di residenza primaria di Milano’, si trasferisce nella nostra città; assume ruoli istituzionali di rilevanza; è consigliere comunale per un quinquennio; è uno dei fondatori dell’Ordine degli Architetti della Provincia che si forma nel 1962, realizza interventi di carattere privato e pubblico. Si occupa di pianificazione e di progettazione dei modelli delle aree urbanizzate del territorio; formula ipotesi urbanistiche come quella per la zona polisportiva a Masnago, frutto di un’accurata indagine sull’assetto del territorio adiacente il Palazzetto dello sport.

Due elementi caratterizzano la cifra dell’architetto Vermi, primo è l’uso dello spazio che declina in una forma personale, evidente anche agli inesperti di linguaggio architettonico. Predilige infatti le forme geometriche meno tradizionali nei manufatti: il trapezio, l’ottagono, il rombo, la linea a nastro curvilineo, l’alternanza di concavo e convesso, il cilindro, il tronco di cono. Col gioco dei volumi aperti crea geometrie che, combinate tra loro, generano forme ordinate e simmetriche; disdegna i tradizionali cubetti e i parallelepipedi, rivestiti magari da facciate stucchevolmente colorate di squallidi palazzi economici di edilizia popolare. Sono emblematici il condominio Sala di via Staurenghi, giocato tutto sull’uso del triangolo e l’elegante condominio definito l’Ottagono con base appunto ottagonale (e che nel testo della Regione sull’Architettura Varesina è definito la Bomboniera?!?) di via Solferino e ancora l’elegante condominio al Gaggianello dove ha ripreso l’elemento del trapezio che ha per base due linee semicurve contrastate: la struttura a tronco di piramide trapezoidale digradante permette il massimo dell’insolazione e dell’affaccio sulla natura circostante. Vermi rispetta la lezione e i valori legati al passato- suo punto di riferimento è Palladio – e il fine etico dell’architettura, il cui precipuo obiettivo rimane quello di realizzare elementi abitativi di qualità non segnati da una ricerca puramente estetica ma da un lavoro teso a migliorare la qualità della vita, attraverso la ricerca di una migliore qualità dello spazio.

L’altra caratterizzazione della sua cifra è l’uso di elementi tecnici specifici: le finestre a nastro che corrono lungo tutta la lunghezza di una parete e permettono una inusuale intensa illuminazione degli spazi abitativi interni e un contatto diretto con l’ambiente circostante; e l’uso del balcone trasformato in giardino. Ritiene che una delle cause del disagio dell’uomo moderno sia l’allontanamento coatto dalla natura, a cui l’architettura può ovviare con l’istallazione di giardini sugli spazi di copertura degli edifici, resi verdi e vivibili come piccoli spazi all’aria aperta, veri ‘giardini sospesi’ ante litteram. Condensa le sue linee programmatiche nella scuola media di via Brunico e in quella di Barasso, e nell’Asilo di Azzate. La ricerca progettuale tiene conto della funzione di servizio ai bambini che devono assolvere le strutture: viene privilegiata la ricerca dei materiali dei colori e delle soluzioni tecniche più confortevoli ma soprattutto la qualità degli spazi destinati ai piccoli, spazi aperti, ariosi in cui la luce è l’elemento fondamentale. Tutte le sue soluzioni costruttive si avvalgono di una scelta accurata, dei materiali: sia si tratti di parti trattate ad intonaco bianco, sia di mattoni a vista, pieni o forati, che disegnano gli spazi, sia di infissi sia di pavimenti.

Vermi ha sempre ricercato una architettura di qualità e realizzato opere caratterizzate da una perfetta sintesi tra gli aspetti formali, funzionali e tecnici sorretto da un equilibrio deontologico e da una passione per il bello non sempre presenti oggi nell’arrogante operare di molte archistar.

Il volume ha come punto di forza il ‘Diario’, una sorta di taccuino con le annotazioni e schizzi di pugno dell’architetto, oltre alla biografia e a vari saggi sulla figura del Vermi o sul momento storico in cui operò.

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