Due date non necessariamente impresse nella memoria, 11 novembre 1922 e 18 novembre 1886. Possono anche sembrare slegate tra loro ma se diciamo che la prima corrisponde alla data di nascita di Dante Isella, mentre la seconda a quella del poeta e scrittore Delio Tessa, studiato e valorizzato proprio dal professore varesino, stiamo rendendo omaggio a due uomini di cultura. Se è sempre bello augurare, pur simbolicamente, buon compleanno a chi ha lasciato in eredità insegnamenti preziosi, oggi più che mai è vitale cogliere la dimensione etico-civile che la letteratura può darci. In questo difficilissimo 2020 la cultura, o meglio le varie forme culturali, come sarebbe più giusto dire, sono in affanno.
A volte – ad essere sinceri – ci si affanna a parlare di cultura più che a farla vivere, ma questo è un altro discorso. Ricordare Delio Tessa, spesso trascurato e considerato di nicchia, condanna che troppo spesso ha colpito ingiustamente bellissime pagine letterarie in dialetto, è una occasione per far sentire vivi i valori della cultura letteraria. Questo non significa cadere nella trappola di leggere un poeta o uno scrittore perché lo vogliamo sentire, anche forzatamente, attuale. In fondo la letteratura, la vera letteratura, mette in atto valori sempre validi, quali la capacità di muovere emozioni profonde e di essere sguardo, quasi binocolo, sulla realtà, soprattutto se diversa e lontana dalla nostra percezione.
Diciamo che Tessa, avvocato che preferì ai codici la scrittura poetica e in prosa, anche giornalistica, offre tutto questo. Non fu scrittore copioso ma fecondo, non ebbe grandi successi in vita ma tardivi riconoscimenti. Sue opere postume sono state commentate da Dante Isella come testimoniano documenti d’archivio della radio televisione svizzera, la vecchia radio Monte Ceneri a cui Tessa collaborò. Il poeta-scrittore-giornalista milanese, fine dicitore di Carlo Porta nei salotti milanesi, fu anche molto apprezzato da Pier Paolo Pasolini, che seppe sdoganare i giudizi riduttivi sul valore della letteratura dialettale.
Alcuni critici hanno colto e lodato, come Benedetto Croce in alcune sue noterelle, le coraggiose sperimentazioni di Tessa: il ritmo del suo fraseggiare, l’alchimia dei suoni deformati con invenzioni – come è stato detto – vicine alle innovazioni futuristiche, il suo umorismo melanconico, un pessimismo che spesso è lo sguardo della povera gente, lasciata ai margini della società. Afferrò nelle sue pagine, che spesso erano articoli per il Corriere del Ticino o per l’Ambrosiano, la variegata realtà della sua Milano. Di lei disse nelle pagine di Ore di città, raccolta di suoi articoli: “Dorme la città immensa e disabitata… immensa pare davvero coi suoi corsi lunghissimi e globi, globi di luce”.
Milano colta in tutto il suo brulicare, le voci delle portinaie, gli odori, le vecchiette curve, le prostitute e i piccoli furfanti, i chiacchiericci domenicali sul sagrato delle chiese, i battibecchi in un negozio in galleria tra “i signori Baldini e Castoldi che sono, scrive Tessa, i più vecchi editori e librai di Milano, due sagome….”. Milano, la grande Milano, afferrata, però, con intesa e arguta umanità perché lo stesso Tessa dichiarò di “riconoscere un solo Maestro, il popolo che parla”. Milano con la piazza Vetra “insonne”, i nebbioni di novembre in cui si andava al Teatro Gerolamo, con le calure estive che la lasciano vuota, vuota, come quando nell’ottobre del diciotto mezza Milano era a letto con l’influenza.
Tessa, che ebbe il coraggio di definire funebre baccanale la disfatta di Caporetto, ci lascia solo intuire che sta parlando della terribile pandemia della Spagnola. Un poeta è grande anche per i silenzi. E se ancora qualcuno continua a ignorare il suo posto nella letteratura italiana, per molti l’opera di Tessa ha un ruolo importante nella storia letteraria del Novecento. Poesia da amare ma anche da conoscere, come l’uomo Tessa. Vale la pena rileggere come è stato descritto nella pagine della bella, anche se vecchia, enciclopedia Le Muse. “Gracile, elegante di una sorpassata eleganza – ricordiamoci che morì a cinquantatré anni nel 1939 – con lo sguardo che la forte miopia faceva sembrare candido e smarrito”.
Ma tutt’altro che candida fu la sua scelta di rappresentare la realtà anche attraverso il dialetto. La sua raccolta di poesie, celebre almeno nel titolo “L’è el dì di mort, alegher”, è del 1932. È il caso di ricordare che fu una scelta coraggiosa? Il fascismo, dal famoso discorso in Parlamento di Mussolini del 16 novembre 1922, quello passato alla storia come il discorso del bivacco, aveva calpestato ogni forma di democrazia, anche quella linguistica. I dialetti furono oggetto di vero ostracismo, anche grazie alla riforma della scuola, la più fascista delle riforme.
Lo slogan era “dal dialetto all’italiano”, mascherando il bisogno di unità linguistica con una antidemocratica omologazione. Ha fatto bene lo scrittore e insegnante Salvatore Niffoi a ricordare pochi anni fa che i dialetti, o meglio le parlate locali, sono la linfa della democrazia linguistica, a patto che siano lasciate libere da politica e ideologia. Forse Tessa, con la sua poesia dialettale, ci ha lasciato anche questo in eredità. E per questo gli auguriamo “buon compleanno”.
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