Joe Biden ha vinto nella corsa alla Casa Bianca. La previsione quasi generale di un suo successa con distacco era vacillata nella stessa notte elettorale del 3 novembre dopo le dichiarazioni apparentemente trionfalistiche del Presidente Trump che in realtà nascondevano la paura della sconfitta.
Che Biden fosse il candidato migliore per una grande democrazia è stato confermato proprio in quelle ore convulse dalla spregiudicatezza di Donald Trump che si è proclamato vincitore a scrutinio in corso con la Casa Bianca trasformata indecentemente in un comitato elettorale.
Di tutt’altro tono, infatti, Joe Biden alcune ore dopo: “Non siamo qui per dire che abbiamo vinto, ma siamo convinti che quando sarà finita la conta, la nostra vittoria risulterà chiara. Adesso abbiamo bisogno di tornare tutti insieme e affrontare l’emergenza. Ho corso come candidato democratico, ma governerò come presidente di tutti gli americani”.
Detto questo di Biden, e reso omaggio alla carriera e alla sua dolorosa e coerente vita personale, bisogna aggiungere che gli americani avrebbero gradito un candidato democratico più giovane, fresco ed energico. Quel candidato che hanno forse trovato in Kamala Harris, futura vice Presidente, e aspirante Presidente fra quattro anni. Una donna nera di madre indiana e di padre giamaicano: un tipico incrocio etnico della nazione americana.
Il Presidente Trump, come aveva promesso fin da quando i sondaggi gli davano torto, farà contestare i risultati nei tribunali degli Stati e poi nella Corte Suprema. Non voglio credere ai molti giornalisti che prevedono la vittoria legale di Trump perché la Corte Suprema ha una netta maggioranza (sei a tre) di conservatori. Penso invece che darà una lezione di garanzia e trasparenza democratica.
L’America non cambierà il suo secolare sistema elettorale ma dovrebbe fare in modo che tutte le schede, anche quelle postali, siano scrutinate insieme alle altre. Traggo subito tre considerazioni da queste elezioni rinviando il resto all’attenta lettura delle analisi specialistiche.
Una riguarda la preoccupante radicalizzazione della politica in America: “Chi non è con me è contro di me”. Vero che era cominciata da parecchi anni (forse una quindicina), ma la contrapposizione è diventata più feroce con Trump per il suo istinto ad accarezzare tutte le pulsioni più divisive e aggressive. Sarebbe tempo di tornare ad una dialettica più serena.
Un’altra considerazione è che qualcosa di socialmente e culturalmente importante si è mosso nelle viscere della società americana negli ultimi lustri: nel 2016 gli ex Stati industriali, poi impoveriti, del Midwest avevano abbandonato i Democratici, erano andati a Trump e sono tornati solo in parte ai democratici con queste elezioni. Molti di questi “americani dimenticati”, al pari dei grandi ricchi, si sono rivolti a Trump. Perché? Ecco una bella sfida per tutte le forze di sinistra e di centrosinistra anche da noi.
Infine una considerazione che riguarda direttamente l’Europa. Le relazioni diplomatiche e politiche con gli Stati Uniti, molto salde a partire dalla seconda guerra mondiale, con Trump si sono drasticamente deteriorate. Ma non torneranno per incanto come erano dieci o venti o trenta anni fa. L’Europa è chiamata a cambiare rapidamente dandosi una sua propria politica Estera e di Difesa. Un’epoca diversa è cominciata anche per gli europei.
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