Come sanno bene gli appassionati di boxe, razza per altro in via di estinzione, spesso è il secondo colpo quello che manda al tappeto il pugile; così come i medici sono consapevoli del fatto che la recidiva di una certa malattia è spesso più grave del primo episodio. Anche gli americani, per annientare il Giappone, di bombe atomiche ne hanno sganciate due, a distanza di tre giorni una dall’altra.
Qualcosa di analogo sta succedendo per la pandemia da Covid che ci affligge. In molti hanno la percezione che questa seconda ondata sarà più grave della prima e temono che possa infliggere alla nostra società un colpo dal quale sarà difficile risollevarsi. Si tratta di una percezione che serpeggia tra la gente e che rende statisticamente molto più raro il ricorso alla esortazione un po’ romantica e consolatoria dell’andrà tutto bene.
Ma allora con quali risorse possiamo far fronte a questa nuova sfida, che incide in modo così pesante sulla salute di molti e sulla modalità di vivere, di studiare e di lavorare di tutti?
Per dovere di realismo dobbiamo riconoscere che in questi mesi abbiamo imparato molto riguardo a questa infezione e che ci siamo dotati di strumenti di diagnosi e cura e di dispositivi di protezione individuale che all’esordio della pandemia non avevamo a disposizione.
Non abbiamo ancora il vaccino o il siero antiCovid, ma sappiamo che in diversi laboratori del mondo stanno lavorando alacremente per mettere a disposizione della popolazione mondiale queste fondamentali armi di difesa e che potrebbe essere questione di mesi perché ciò si realizzi.
Inoltre abbiamo imparato da questa pandemia l’importanza di quella che Papa Francesco chiama “l’amicizia sociale”, perché solo attraverso un impegno collettivo si può far fronte alla pandemia (anche il distanziamento è paradossalmente espressione di attenzione reciproca).
Per quanto mi riguarda i sei mesi nei quali ho prestato servizio come “medico Covid” all’Ospedale di Circolo di Varese, da marzo a settembre, sono stati una possibilità di apprendimento e di partecipazione ad una esperienza di amicizia sociale, con i colleghi, i pazienti e i lori familiari, che mi ha dato molto.
Così quando una settimana fa Francesco Dentali, responsabile del Dipartimento di Medicina Interna della ASST Sette Laghi, mi ha chiesto di rientrare, non ho avuto dubbi che fosse giusto rispondere di sì e dare così il mio piccolo contributo ad una impresa ardua.
Poi, come dice il Vangelo, “ogni giorno ha la sua pena”, di fronte alla quale ognuno, momento per momento, situazione per situazione, è chiamato a rispondere.
Da quale fonte attingere per non mollare?
Qualche giorno fa, nella solennità di Tutti i Santi, partecipando alla santa Messa nella Chiesa vuota della Fondazione Molina (eravamo in quattro compreso il celebrante, con gli ospiti collegati attraverso l’impianto di filodiffusione) mi sono arrivate al cuore le parole di San Paolo, della lettera ai Romani:
“Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’Amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore”.
Mettiamoci anche la pandemia.
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