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Attualità

ANGOSCIA DEL TEMPO

MARIO DIURNI - 06/11/2020

covidLa seconda ondata del COVID-19, da alcuni prevista, da pochi negata, da tanti minimizzata o addirittura rimossa, purtroppo è arrivata, con le conseguenze che tutti sperimentiamo, nella vita individuale e collettiva.

Siamo al cospetto di una fase diversa rispetto alla primavera scorsa; lo stesso virus, anche se vi sono ancora pareri discordanti tra medici e ricercatori, sembra che abbia subito delle modificazioni. Resta il fatto incontrovertibile che è altamente contagioso, che si diffonde rapidamente e la sua corsa al momento sembra inarrestabile. L’età media dei contagiati ricoverati, varia tra 50 e 70 anni, anche se non mancano casi gravi in soggetti più giovani, che sono accolti nelle terapie intensive. Quasi tutti i medici affermano di essere diventati più bravi a trattare il COVID-19, con protocolli accurati ed è facilmente riscontrabile dalla per ora bassa letalità.

Il virus è contagioso anche perché diffonde per aerosol, e da uno studio ancora in fase di validazione finale, ad una distanza superiore ai quattro metri. Nei mesi estivi di tregua, quando il virus sembrava se non scomparso almeno in via di estinzione, si è tentato di migliorare la medicina territoriale, ma i guasti del passato sono troppo gravi, per consentire in così poco tempo di migliorarla in maniera significativa. Per gli ospedali si è potuto fare poche cose, perché molti di essi sono strutture vecchie e con organici affetti da carenza di personale sanitario specializzato. Quello che continua a mancare è il raccordo tra ospedale e territorio, due entità sconnesse tra di loro. È stata prodotta inoltre una messe di documenti, DPCM, linee guida, piani territoriali, circolari ministeriali; sono stati fatti gli Stati generali, piani di esperti, e fino alla metà del mese di settembre sembrava che non vi fosse niente di nuovo sul fronte occidentale rispetto ai bassi numeri di contagiati dei mesi estivi.

In una settimana o dieci giorni, tutto è cambiato. Qual è stato l’evento scatenante la ripresa della pandemia? Si poteva prevedere in tempo, e di conseguenza agire meglio di quanto si sia fatto, per evitare ulteriori sofferenze a tutta la popolazione? La riapertura delle scuole, con tutte le attività e necessità connesse, come per esempio i trasporti, è stato un evento importante. La ripresa a pieno regime delle attività produttive, delle attività artigianali e del commercio, tutte fondamentali per l’economia del Paese, ha condotto ad una facilmente prevedibile maggiore circolazione delle persone, ad un inevitabile affollamento dei mezzi di trasporto, di superficie e sotterranei. Soprattutto le persone, non soltanto quelle giovani, stanche dell’isolamento, del distanziamento, hanno ripreso a frequentare i luoghi di ritrovo, i ristoranti, le palestre; hanno ricominciato a vivere. Che il disagio negli animi, nelle menti, sia profondo lo dimostrano tanti articoli scientifici pubblicati su riviste di psichiatria e psicologia; tanti convegni on line hanno centrato il focus sulle conseguenze psicologiche traumatiche del COVID-19, cercando di trovare ed offrire risposte agli uomini disorientati ed impauriti. Il tornare a vivere però, comporta di pagare un prezzo elevato, e forse non siamo in grado di onorare il pagamento. Tanti errori sono stati commessi e si continua a commettere, da parte di una classe dirigente inadeguata, sia al centro, che in periferia.

 Vorrei però lasciare da parte le polemiche e riflettere sull’angoscia metafisica che sembra si sia impadronita dell’umanità, e mi vengono in mente gli scritti di Emile Cioran, il suo pessimismo e le sue meditazioni sul Tempo. Perché l’uomo è stato condannato a vivere l’angoscia dell’inesorabile trascorrere del tempo? Secondo Cioran l’uomo non è nato nel Tempo, ma vi è caduto dentro dall’eternità, con il Peccato Originale, e la conoscenza del bene e del male, cioè la coscienza, lo ha messo nella condizione di non sapere più cosa fare della sua esistenza, perché l’uomo è stato trascinato nel mondo della possibilità, dilaniato da dubbi ed incertezze.

“Non è affatto improbabile che una crisi individuale diventi un giorno la crisi di tutti e acquisti così un significato non più psicologico, ma storico…e questa volta non si tratterà più per l’uomo di cadere dall’eternità, ma dal tempo, cioè dalla storia…arenarsi nell’inerzia e nel languore, nell’assoluto della stagnazione” (Cioran, la Caduta nel Tempo). Come uscire da questa condizione agghiacciante del non essere?

Ho implorato una risposta e ho pensato allora al Vangelo di domenica scorsa, della Festa di Ognissanti “ Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati…(Matteo, 5-3). Gli afflitti sono coloro che sono nel pianto, ma sappiamo che Dio non vuole il male delle sue creature, e chi deve consolare allora coloro che sono nel cordoglio, cioè sono con il dolore del cuore? Credo sia questo sia il significato della beatitudine del pianto, dell’afflizione. Beati siamo noi tutti chiamati a consolarci a vicenda. Come scrive Fra Giorgio Bonati: “Il miracolo è che a partire dalle tue ferite, puoi diventare un guaritore delle ferite altrui”. Amen, così sia.

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