Non volevo più parlare del Covid. Non volevo più sentir parlare del Covid. Neppure di questioni collegate al Covid. Non sopporto più lo stuolo di tuttologi che, da CT della Nazionale di calcio si sono trasformati – per mutazione genetica? – in virologi ed epidemiologi.
Mi ero rifugiata nel training autogeno: hai…un tot di anni, ormai il mondo non lo cambi più, ti rovini la vita e basta, pensa al tuo metaforico orticello e lascia perdere il resto. Non ce l’ho fatta. Tre cose, fondamentalmente, mi hanno fatto uscire dai gangheri e mi hanno indotto ad occuparmi ancora dell’argomento.
I negazionisti. Non riesco a digerire l’assurdo atteggiamento di chi nega un fatto; ma non voglio entrare in inutili discussioni, vorrei invece suggerire a queste persone di rifiutare, per coerenza, il ricovero in ospedale nel caso in cui fossero colpite dal virus, e ai medici di rimandarle a casa.
Poi le liti continue tra le due anime della maggioranza, tra maggioranza e opposizione, tra Governo, Regioni, Comuni (per fortuna le Province sono un’entità non meglio identificata e poco loquace). È mai possibile che non riescano a litigare nelle segrete stanze, a trovare un accordo decente e a comunicarcelo alla fine, evitando di creare insicurezza e ansia? Almeno in questo momento particolarmente difficile?
Ma la ciliegina sulla torta, per cui mi sono messa al computer a scrivere queste righe, è stata una lettera della Sovrintendenza scolastica della Lombardia inviata alle “Istituzioni Scolastiche di II grado Statali e Paritarie della Provincia di Como” e pubblicata da un giornale locale. Il contenuto della missiva ha fatto giustamente infuriare un’insegnante del Liceo Scientifico Paolo Giovio di quella città, inducendola a scrivere al ministro Azzolina (non ce la faccio a scrivere “ministra”) e a pubblicare il suo scritto sul web. Nella lettera si ricorda (dunque è una norma in vigore) “che non è previsto il lavoro agile per i docenti che sono pertanto tenuti a svolgere le lezioni a distanza presenziando a scuola”. Avete capito bene: i docenti devono svolgere il lavoro “a distanza” andando a scuola, fare lezione da una scuola vuota a studenti che sono a casa. Valentina Romano, la collega che ha scritto la lettera, ha pensato ad una bufala: “Perché tutti ci dicono di restare a casa e a noi professori – che in Italia vantiamo il primato di essere i più anziani d’Europa – ci vien detto che no, da lunedì dobbiamo uscire per andare sul posto di lavoro”.
Avevo visto centinaia di assurdità nella scuola italiana, ma questa non sarei mai arrivata ad immaginarla, neanche sforzandomi. Ciononostante – sapete che in fondo sono buona – ho provato a cercarne la ratio. Forse non tutti gli insegnanti hanno una connessione internet efficiente; oppure alcuni hanno approfittato del telelavoro per non lavorare affatto – i lavativi ci sono in ogni categoria, persino in quella strapagata dei docenti. Ma no, sono giustificazioni che non reggono, dato che si potrebbero facilmente risolvere i singoli casi senza coinvolgere tutti. Volendo.
Ed è questo il punto: volere. Voler occuparsi della scuola in modo serio, non con banchi a rotelle e misurazioni tra rime buccali. Riconoscere una buona volta, con progetti seri, che è lì che si costruisce il futuro.
Visto? – mi sono detta – avresti fatto meglio a pensare al tuo orticello: è ancora lontano il momento in cui potrà cambiare qualcosa.
You must be logged in to post a comment Login