Chissà come, ma soprattutto quando, potremo risarcire ragazzi e i giovani adulti per la ingiusta sottrazione del loro tempo scuola, che poi è tempo vita, che altro non è se non la declinazione del loro futuro.
L’ultimo Dpcm costringe le scuole superiori a ridurre quando non ad azzerare il tempo scuola in presenza. Ma anche i docenti e il personale degli altri ordini di scuola trattengono il fiato per il possibile ritorno della didattica a distanza anche per i più piccoli.
Siamo a disagio per gli effetti incontrollabili della pandemia che incideranno pesantemente sul sistema educativo del Paese. Qualificati studi specifici, italiani ma non solo, hanno evidenziato le regressioni culturali e psicologiche che si avviano a diventare carenze e lacune strutturali, presenti nelle nuove generazioni dopo i sei mesi di lontananza dalle aule.
Siamo percorsi da ansia e preoccupazione per la contrazione del tempo presente e la riduzione di futuro che privano gli studenti della qualità e della quantità di educazione e di istruzione loro dovuta.
Difficile condividere l’ottimismo della Ministra dell’Istruzione che ha provato a difendere ad oltranza l’apertura di tutte le scuole che ritiene luoghi sicuri, ben di più di altri a cui vengono riservate maggiori attenzioni.
Come non riconoscere la necessità che le lezioni possano continuare in presenza?
Non c’è dubbio che è indiscutibilmente più efficace e di gran lunga più stimolante trascorrere in classe il tempo dedicato all’istruzione, anche se distanziati dai compagni, per imparare dalla viva voce degli insegnanti con cui interloquire, e trascorrere tra mura familiari i tempi dello studio, del gioco, dell’attività motoria.
È la realtà, purtroppo, a risvegliarci dall’illusione che saremmo tornati presto ad una forma accettabile di normalità.
Sono i dati relativi ai contagi che ci risvegliano bruscamente.
Questo è un Ma il momento storico che richiede una chiamata generale alla resilienza: ce ne vorrà molta per affrontare i grossi sacrifici, le dure rinunce, i passi indietro rispetto alla ristrutturazione della scuola messa in campo con pazienza e passione nei mesi estivi.
Tanto lavoro non è bastato a garantire, insieme agli altri settori della società, la salute dell’intera collettività.
Siamo di nuovo in una fase fortemente critica.
Qui e ora ci viene chiesto di sopportare le pesanti limitazioni che possono salvare la vita di tanti cittadini.
Dobbiamo cambiare di nuovo prospettiva, metterci insieme per riscrivere altri progetti, immaginare il che fare nei primi mesi della ripresa che vedremo alla fine della pandemia.
Si potrebbero contare responsabilità, additare debolezze e incertezze della maggioranza come dell’opposizione: è certo che tutti avremmo potuto fare meglio e di più.
Ma ora è utile rimettersi al lavoro per prefigurare il futuro che ci troveremo davanti quando riapriranno le attività, quando la scuola sarà di nuovo fruibile per tutti e in tutto, quando si riempiranno le aule di bambini e ragazzi, quando si rianimeranno i cortili di giochi di gruppo e le palestre di momenti di sport “di contato”.
Quel giorno dovremo avere pronto un pacchetto corposo e condiviso di iniziative da offrire ai bambini e ai ragazzi. Dovremo essere capaci di attivare processi educativi nuovi, itinerari di recupero, momenti di vera e ritrovata socialità, dentro la scuola e nella società.
Mentre subiamo le strette del nuovo DCPM potremmo esercitarci nel rinforzo della capacità di resistere alle difficoltà, così come l’umanità ha fatto nel corso dei secoli.
Potremmo anche supportarci vicendevolmente per diventare più razionali anziché perseverare nello scambio quotidiano di sentimenti di paura e di incertezza.
Papa Francesco ci ha chiesto di alzare lo sguardo dalla dura quotidianità soggettiva e di smettere l’illusione dell’onnipotenza. Perché non possiamo continuare a “considerarci sani in un mondo malato”.
Impariamo a curarci dedicando allo stesso tempo energie e risorse alla cura delle ferite del mondo.
You must be logged in to post a comment Login