Le scadenze elettorali, si sa, eccitano ovunque gli animi e la fantasia. Soprattutto di chi aspira a occupare uno scranno in Consiglio Comunale o magari, perché no, anche più in alto.
Tutto il mondo è paese e Varese non è da meno. Anche qui da settimane si avverte una frenetica agitazione a destra e a manca. In ogni angolo, sarà la stagione, spuntano liste come funghi. Quasi tutte all’insegna di un “civismo” smanioso di smarcarsi nettamente dai partiti o, illusoriamente, di condizionarli, più che capace di offrire ai varesini un progetto di governo alternativo a quelli già sperimentati. Un “civismo” a caccia di candidati e che esaspera ancora di più la personalizzazione della politica, riproducendo, forse a sua insaputa, gli stessi vizi e difetti rimproverati ai partiti.
Nulla di nuovo sotto il sole. Di liste civiche ne abbiamo avute tante anche nel 2016, per non parlare di quelle del 2011. Eppure nessuno si interroga sulla pessima prova da loro fornita, lo dico senza offesa per nessuno, sia dall’opposizione che, ahi noi, dal governo della città.
A quanto pare, su questo e altro, non è tempo di riflessioni, ma di totovoto. Ecco perché impazzano autocandidature e liste. Si moltiplicano i “contenitori” mentre resta assordante il silenzio sui “contenuti”. C’è chi dice di voler ballare da solo (per vocazione o per alzare il prezzo), chi svolazza a passo di valzer da una coalizione all’altra (questo e quello per me pari son), chi si allaccia nel tango con il partner di sempre e chi si diletta nel ballo del qua qua in attesa che si diradino le nebbie dei giochi incrociati. Poi ci si sorprende se la credibilità della politica continua a scemare e tra i cittadini crescono sfiducia e abbandono.
Negli ultimi cinque anni abbiamo avuto una nuova maggioranza che ha interrotto il lungo ventennio a trazione leghista. Tutto bene? Non proprio tutto. La Giunta del Sindaco Galimberti ha compiuto un evidente cambio di passo rispetto ai predecessori e in particolare all’immobilismo mortifero di Fontana. Tuttavia sulle scelte di fondo la promessa discontinuità, che avrebbe dovuto rappresentare una vera e propria rottura con il passato, non si è vista.
E non bastano certo i tanti cantieri aperti, né l’elenco di “quanto” si è fatto per entrare in sintonia con le domande e le aspettative della città. Sulle cose fatte o da fare è più facile che ottenga maggiori consensi l’interminabile elenco di “incompiute” che il giornale locale amplifica quotidianamente. Hai voglia poi di coprire le buche quando poi basta una pioggia per ricominciare daccapo.
Comunque la vera sfida va ben oltre il progetto della ex Caserma, del piano stazioni, di largo Flaiano o del parcheggio di Via Sempione. Opere di cui nessuno sa dire a che punto saranno al momento del voto. L’attenzione prioritaria dovrebbe essere rivolta a percepire lo “stato d’animo”, le domande e i bisogni reali dei varesini. Da anni siamo immersi in una crisi senza precedenti. Anche Varese sta vivendo un preoccupante declino. Basta guardarsi intorno.
La crisi del 2008 prima e ora la pandemia hanno inciso profondamente nel nostro tessuto economico e sociale, debilitandolo. Le vecchie certezze dell’isola felice, della città ricca e soddisfatta, per una grande parte della popolazione sono ormai un vago ricordo. Si vive all’insegna dell’incertezza e della precarietà, preoccupati di un futuro sempre più incerto e dai contorni indefiniti.
Problemi enormi la cui soluzione non dipende certamente dalla sola amministrazione comunale. Però è qui che il tema dei servizi, della loro qualità ed efficienza, torna prepotentemente a farsi sentire. In questi mesi tutti hanno potuto toccare con mano le conseguenze di quella politica sciagurata succube della nuova ideologia trionfante del meno stato più mercato.
Sanità, istruzione, casa, trasporti, hanno subito per anni tagli e privatizzazioni al punto da lasciarci oggi deboli e scoperti di fronte alle difficili prove del momento. Di questo progressivo impoverimento dello stato sociale non si è accorta neppure tanta parte della sinistra, impegnata a rincorrere pensieri e scelte altrui o timorosa di non apparire moderna o all’altezza dei tempi.
Ripartire da qui, per un centrosinistra davvero tale, vuol dire ripensare programmi e progetti del governo locale. Perché è a questo livello che possono e devono essere garantiti i servizi fondamentali che migliorano la qualità della vita e concorrono a ricreare fiducia tra i cittadini. La vera sfida è dunque sulla definizione di un progetto a lunga scadenza che, per essere credibile, impone anche il cambiamento di metodi e pratiche politiche autoreferenziali ed elettoralistiche.
La crisi che stiamo vivendo mette in discussione non solo alcune scelte politiche del recente passato, ma l’intero patrimonio di regole e comportamenti che le hanno ispirate e avallate.
In concreto si tratta di rimettere al centro dell’attenzione i contenuti prima dei contenitori.
Il confronto potrebbe cominciare da alcuni punti chiave:
Si potrebbe continuare con la riorganizzazione della macchina comunale, l’uso attuale e altra possibile destinazione sociale del patrimonio immobiliare, la progettazione di spazi e attività che riqualifichino la vita dei quartieri e tanto altro ancora.
I problemi non mancano, ciò che scarseggia – purtroppo – è la volontà di affrontarli seriamente.
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