(S) Visto che hai varato la nuova rubrica “Lettera alla città”, possiamo tornare al tema principale delle Apologie, cioè la paradossalità? Trovavo più divertente la mia partecipazione a quelle discussioni che dover smontare i tuoi fumosi programmi. Più utopistici dei sogni di Onirio. Nella nuova rubrica spero ti arrivino contributi seri, di persone competenti e con i piedi per terra, te lo auguro di cuore. Amici, prendete la penna ed aiutatemi ad evitare lo scivolamento di Costante verso irrealizzabili fantasie politiche. Lui non si è ancora reso conto che partiti e liste civiche sono già a buon punto nel completare la rete delle possibili alleanze, incuranti di progetti a così lunga gittata da essere ininfluenti sull’esito delle elezioni.
(O) Ma se qualcuno non parla di programmi, anche e forse soprattutto di lungo periodo, finisce come cinque anni fa, che vince chi riesce a con-vincere, con buoni argomenti, per carità, gli esponenti delle liste non entrate in ballottaggio, civiche o di centro, ad appoggiare a seconda del caso, la sinistra o la destra.
(C) Mi preme ripetere un concetto: il Patto fondativo del 2020 è una necessità per Varese che è indipendente da ideologie o schieramenti, da sinistra e destra, da interessi particolari. La vecchiaia mi ha reso presbite non solo di occhi, anche di mente; riesco a vedere meglio le cose lontane, più di quelle vicine. È uno dei miei amati paradossi. La nuova funzione delle piccole e medie città, nel contesto della Lombardia, oggi dipendenti in modo passivo da Milano, tranne forse Brescia, pone delle sfide alla politica locale tuttora da scoprire. Per questo la mia riflessione, offerta a tutti senza preclusioni, deve svilupparsi adesso, in anticipo sui cambiamenti epocali già innescati nel mondo del lavoro e in quello dell’abitare, dall’epidemia e dalle sue conseguenze economiche e sociali. Rispondo però affermativamente a Sebastiano circa il piacere del paradosso: se lui, così conformista ama confrontarsi con il paradosso, significa che il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo non ha conseguenze solo sul piano delle grandi questioni mondiali, ma ha effetti anche sui nostri circoscritti interessi territoriali e personali.
(O) Tu vorresti che la politica uscisse dalla ‘bolla’ in cui si è da tempo rinchiusa, ad ogni livello, globale, nazionale, locale, ma per fare cosa?
(S) Ma di quale bolla state parlando? Mica quella del lockdown? Sacrosanto per rispetto di chi potrebbe ammalarsi gravemente e morire!
(C) Ecco l’esperienza paradossale! Essere stati rinchiusi per mesi nella bolla dell’isolamento dovuto alla chiusura (inutile chiamarla lockdown) generalizzata dei luoghi abituali d’incontro, a me ha fatto capire quanto fosse facile vivere all’interno di una ‘bolla virtuale’, che ciascuno crea da se stesso e che consiste nel chiudersi nelle abitudini consolidate, nei rapporti obbligatori, nei desideri compulsivi, nelle speranze meschine di possesso e di successo, sempre irrealizzabili. Del tutto simili sono le bolle create dalle aggregazioni di secondo livello, spesso circoli chiusi, che siano amicizie o gruppi d’interesse economico o ricreativo. A questo livello si è espresso il paradosso: rinchiusi in casa abbiamo sentito il bisogno di cercare nuovi rapporti, di rinfrescare vecchie amicizie, di guardare al futuro con occhi più capaci di domanda e meno oscurati da meschine pretese. Questo però non è successo nel mondo della politica, includendo in questa definizione non solo i partiti e i movimenti ad essi consimili, ma pure i grandi raggruppamenti d’interessi, padronali e sindacali, uniti solo dallo scopo comune di strappare risarcimenti e benefici passeggeri ad un governo incline a concederli e privo di progetto che non fosse quello di tacitare il malcontento e di prolungare la propria durata. La beffa della seconda ondata coglie questo universo impreparato a tutto se non alla ripetizione dello schema di sei mesi prima: è d’obbligo per il governo rinchiudere tutti a casa, preda della paura, in impaziente attesa del prossimo risarcimento a base di denaro (e di debito) pubblico; per i gruppi d’interesse economico, al contrario, è ovvio opporsi e lamentare il danno della chiusura, salvo appunto, congruo risarcimento. Tra la gente comune i più mugugnano, alcuni, per fortuna ancora pochi, sono esasperati e pronti solo alla protesta violenta. Infine, una minoranza attiva e responsabile riesce a inventarsi nuove modalità di lavoro e di relazione, accetta le regole e realizza comportamenti virtuosi, compatibili con le necessità del momento e prova, pur vessata dalle astruserie degli obblighi inventati dalla burocrazia, a produrre, a insegnare, a vivere. A questi esempi dovrebbero guardare sia le istituzioni, sia i grandi raggruppamenti sociali ed economici.
(S) Ma questo che cosa significa per Varese? Facci almeno un esempio.
(C) È il momento di mettere in campo quel progetto di trasformazione urbana che ho chiamato Patto fondativo, dandogli un obiettivo preciso, che a me è ormai chiaro: la valorizzazione di certi quartieri, solo apparentemente ‘periferici’, realizzando un progetto di ‘smart city’ proprio a partire da aree dismesse e oggi marginali, ma idonee a rispondere a quella fuga dalle metropoli, incominciata a causa del Covid da New York in maniera clamorosa, ma destinata a generalizzarsi. Nei prossimi anni molti centri direzionali si sposteranno da Milano, ma non più verso l’immediata periferia, ma verso le medie città, più vivibili e nello stesso tempo dotate di servizi e ben collegate. Varese deve essere pronta a raccogliere questa sfida con la capacità di offrire soluzioni di eccellenza, in tutti i campi: dall’educazione ai servizi pubblici, dalla cultura alla mobilità e all’ambiente, non soltanto immobili a più buon mercato rispetto alla metropoli.
(S) Bella idea, ma continua a mancare qualcosa.
(O) Che cosa manca?
(S) A Varese come a livello nazionale manca quella fiducia nell’autorevolezza delle istituzioni, sia come competenza e affidabilità delle persone, sia come efficienza dell’apparato amministrativo, che è la vera differenza tra l’Italia e la Germania, tanto per fare un paragone scontato. Si sente così fortemente questa mancanza che gli elettori, la gente, insomma, cambia parere in continuazione, perché troppo spesso disillusa. Allora confonde l’autoritarismo con l’autorevolezza e si affida a chi grida più forte. A Roma almeno c’è il Presidente della Repubblica, uomo d’altri tempi, che cerca con le parole e con l’esempio di ottenere quel minimo di coesione nazionale necessario ad essere rispettati dalle altre Nazioni e dagli organismi sovranazionali. Riconosciamo sinceramente che a Varese una simile personalità manca, quindi, che fare?
(C) Difficile a farsi, ma semplice da enunciare: democrazia è partecipazione. Allargare il dibattito, meglio il dialogo, se possibile, a quante più persone possibile, adesso, non in campagna elettorale. Come cittadini di Varese (io mi considero ancora tale sebbene abiti fuori città) possiamo cercare di avere fiducia in noi stessi, uscire dalla ‘bolla’ del nostro proverbiale individualismo e tutti insieme giocare la partita del rilancio della città. Con quale metodo? Riconosco che incontri pubblici, che oggi sarebbe di moda chiamare ‘Stati Generali’ di questo o di quel settore, di questo o di quella lista o partito, sarebbero difficili da convocare, a norme Covid, anzi per ora impossibili. Ma ci siamo ormai abituati alle assemblee virtuali su internet che ci farebbe pure piacere partecipare anche a più d’una, magari sotto la discreta copertura di un nickname. Vuoi vedere che il numero dei partecipanti in una piazza virtuale ritorna ad essere perlomeno significativo?
(S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti (C) Costante
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