Come finiranno le elezioni americane lo sapremo la sera del tre novembre, salvo ricorsi contro il voto postale se Trump dovesse perdere. I sondaggi parlano a favore di Joe Biden e certamente il complessivo voto popolare sarà a suo vantaggio ma ciò che conta sono una decina di Stati in bilico e qui le previsioni si fanno incerte come si è visto nel duello Trump-Hillary Clinton del 2016.
Èda notare che negli ultimi trent’anni una volta sola il voto popolare è risultato a favore dei repubblicani i quali però nel medesimo periodo hanno avuto tre presidenti: Bush padre, Bush figlio, Donald Trump. Nel 2016 Hillary Clinton ha ricevuto tre milioni di voti in più del Presidente in carica.
E Trump ha dimostrato di essere un politico atipico capace di mosse sorprendenti che noi europei possiamo ritenere stravaganti ma che invece portano consenso negli Usa dove s’intrecciano storie, culture, etnie, evoluzioni e rivoluzioni che hanno fatto grande quel Paese.
Non entro certo nel merito dei sondaggi elettorali e mi permetto solo qualche riflessione sui riflessi che il risultato avrà sull’Europa che con l’America ha storicamente avuto un fortunato rapporto in termini di esercizio della democrazia, di sviluppo dell’economia, di evoluzione della società.
L’America è stata decisiva quando è entrata in guerra a fianco dell’Inghilterra contro la Germania nazista (e l’Italia fascista) ed ha poi saputo trovare un accordo temporaneo con la Russia di Stalin per battere Hitler. Successivamente è stata ininterrottamente la guida dell’occidente democratico vincendo la “guerra fredda” con l’Unione Sovietica.
Sono passati tanti anni da allora ma ne sembrano passati ben di più da quando Trump ha introdotto e rafforzato per gli Usa una politica isolazionista. Ha raffreddato le relazioni con l’Europa; al pari della Russia di Putin appare interessato all’indebolimento dell’Unione Europea; ha incoraggiato tutti i sovranismi e i nazionalismi nel nostro continente.
Sono queste le ragioni che spingono molti europei dalla parte dei Democratici e di Joe Biden per quanto anziano e logoro possa sembrare per una lunghissima vita politica e una dolorosa esistenza personale e famigliare. Appare però molto più rassicurante, più consapevole di Trump del compito di guida del mondo democratico. Anche lui, come Trump, si pone il problema dell’ascesa inarrestabile e preoccupante della Cina, l’altra grande superpotenza mondiale, ma in un modo più lineare ed efficace.
La Cina sta cercando di acquisire una capacità di “soft power”, cioè di conquistare l’amicizia di tanti Paesi del mondo con aiuti mirati, che era tipica dell’America come ha dimostrato il successo del famoso Piano Marshall per l’Europa e poi l’azione della Nato e degli Organismi internazionali di cooperazione. Conquiste che giovavano agli interessi geopolitici americani ma si collocavano nel segno della democrazia per quanti errori siano stati compiuti.
Non così si può dire della Cina comunista con il suo rampante capitalismo di Stato, le sue pratiche antidemocratiche viste in opera ad Hong Kong, il suo poco rispetto dei diritti umani, i suoi segreti imbarazzanti riguardo all’instaurarsi della pandemia, le sue lusinghe e le mirabolanti promesse insite nella Via della Seta sulla cui fondatezza è lecito dubitare.
L’Europa ha bisogno di un’America vicina e amica con l’ambizione di contribuire a vincere la “guerra” del Covid 19 e poi di mantenere il ruolo positivo che aveva svolto dopo la seconda guerra mondiale. Una scelta di campo precisa e determinante molto più di Joe Biden che di Donald Trump.
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