A proposito del virus (1). Cominciamo dal governo. Il deficit di gestione delle quattro T, tamponi, tracciamenti, terapie intensive e trasporto pubblico, ne sta minando il gradimento. La rentrée della pandemia, che d’estate sembrava in ritirata, è anche la conseguenza di sottovalutazioni, incapacità, rovelli. Spartiti con le regioni. Bisognava fare molto, non s’è fatto abbastanza. Negli ultimi dieci giorni il premier e la sua squadra han perso il 4 per cento di consensi, tendenza data in conferma. L’ultima negativa performance aiuta lo sprofondo: Conte, dopo averlo definito inutile se non dannoso, dichiara che del Mes si discuterà una volta conclusi gli “stati generali” dei Cinquestelle, previsti il 14 e 15 novembre. Ma come: l’infezione ci reimpesta e per utilizzare denari europei subito spendibili aspettiamo il risolversi delle beghe grilline? Proprio così: concessa a Zingaretti la modifica dei decreti sicurezza di segno salviniano, bisognava (bisogna) concedere qualcosa in cambio a Di Maio. Cioè il no al Mes, stigma pentastellato, almeno fino all’indomani del gran raduno temuto dal ministro degli Esteri.
Queste sono le urgenze. Alleluia. Nel frattempo ci si è ritratti da ciò che si doveva a proposito di ospedali, medicina sul territorio, scuole, autobus/treni, eccetera. Sei mesi buttati via, da aprile a oggi, per evitare l’ineluttabile. Ha scritto lo pneumologo Sergio Harari sul Corriere della Sera: abbiamo le stesse scarse risorse, le stesse persone, gli stessi modelli organizzativi. Abbiamo visto e stiamo vivendo gli stessi errori e gl’identici ritardi di allora. Assistiamo ai medesimi rimpalli tra Regioni e Governo. Prendere nota, prendere paura.
A proposito del virus (2). E di rimpalli. Passiamo ai Comuni. Il 25 aprile scorso si riunì la cabina di regia Governo-Regioni-Enti locali. L’Anci, board delle amministrazioni civiche, sollecitò massima chiarezza e condivisione fra i vari livelli di responsabilità. I sindaci rivendicavano autonomia decisionale in cruciali passaggi sulla gestione dell’emergenza. Qualche giorno fa, quando gliela si è concessa per la chiusura di vie e piazze in pericolo d’assembramento, ecco l’accusa di scaricabarile a Conte. Prima Roma deteneva troppo potere, ora ne esercita troppo poco. Ma dài. Chi meglio dei sindaci conosce le città e sa quali sono le decisioni opportune da prendere? Alla fine s‘è raggiunto il compromesso: toccherà ai prefetti mediare. Pretendendo dal governo le risorse necessarie (uomini, mezzi) per controllare con rigore il rispetto dei divieti. Ma non è questo il modo.
A proposito di virus (3). Finiamo con presente e futuro del Conte bis. L’affabulazione in epoca Covid 2.0 dell’Avvocato del popolo italiano sembra non fascinare più: cresce l’angoscia popolare, cala la fiducia istituzionale, ìmpera l’afflizione. I primi a ricordarglielo sono gli alleati Zingaretti e Renzi. Quindi o si cambia racconto o si cambia chi lo legge. Pronostico: si cambieranno tutt’e due. Correzione nelle scelte di Palazzo Chigi, preservato il posto all’inquilino, che però dovrà circondarsi di qualche diverso ospite. Alcuni degli attuali sono inadeguati. Ha ragione il segretario del Pd quando invoca un cambio di passo e ha ragione il suo capogruppo alla Camera, Delrio, quando sollecita una definizione della catena di responsabilità. Quindi, dopo gli “stati generali” dell’M5S, si terrà una verifica. E niente aria fritta: chiarimento su nuove strategie, ruoli, nomi, coinvolgimento realistico dell’opposizione. Scelte fondamentali e rischi, al riparo da elezioni anticipate ormai inesigibili, vanno partecipati ad altri. Sperabilmente a tutti. Meno potere al presidente del Consiglio, più ai suoi partner, qualche new entry d’alto profilo. Arriveranno prestiti europei (prestiti, non scordiamolo), ci vuole chi li sappia usare al meglio. Nel Paese crepuscolare disorientato dal virus è l’ora, sia pure tarda, di virare.
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