La Costituzione italiana sancisce il dovere dello Stato di garantire la salute dei cittadini sia salvaguardando l’individuo malato, che necessita di cure, sia tutelando l’individuo sano.
Se concentriamo la nostra attenzione sulla seconda parte di questa affermazione, la prevenzione primaria di alcune delle malattie infettive maggiormente diffuse è affidata per importanza, dopo la potabilizzazione dell’acqua, alle vaccinazioni che devono essere considerate pertanto uno degli interventi più efficaci e sicuri in sanità pubblica.
Il termine vaccino deriva dal latino vaccinus, vacca, mucca e identifica un preparato medico ottenuto utilizzando batteri e virus (morti o vivi attenuati) da iniettare in un essere vivente per indurre l’organismo a produrre una reazione di difesa specifica (anticorpi) che ne assicurino poi una immunità.
Il vaiolo bovino era una malattia che produceva pustole nell’animale dalle quali veniva prelevato il pus poi utilizzato anche per praticare l’immunizzazione attiva nell’uomo.
A scoprire che il virus del vaiolo vaccino potesse essere utilizzato contro il vaiolo umano (molto più pericoloso che nel quadrupede), fu l’inglese Edward Jenner (nel 1796). Egli infatti aveva notato che i contadini che avevano contratto il vaiolo vaccino durante la mungitura (cowpox), una volta superata la malattia, non si ammalavano della variante umana di gran lunga più seria (smallpox). Nel maggio 1796 quindi prelevò da una pustola di vaiolo bovino di una giovane donna infettata del materiale e lo iniettò ad un ragazzo di 8 anni. Dopo alcuni mesi allo stesso ragazzo fu iniettato del vaiolo umano ma al ragazzo non successe nulla. Il suo quindi fu il primo tentativo che aprì le porte allo sviluppo della moderna immunologia. L’Inghilterra nel 1840 rese obbligatoria la vaccinazione ed il virus del vaiolo è scomparso nel 1980.
In realtà osservazioni sull’importanza delle vaccinazioni si incontrano nella storia ben prima di Jenner, se si pensa che lo storico Tucidide oltre 400 anni prima di Cristo, osservava che raramente le persone ammalate di peste e sopravvissute, si riammalavano.
Cina ed India circa nel 1000 d.C. utilizzavano una prevenzione del vaiolo detta variolizzazione. Essa consisteva nel prelievo da pustole di malato in via di guarigione di materiale e nel suo innesto sottopelle in altro soggetto per provocarne il contagio. Questi soggetti risultavano poi immuni per le forme più aggressive (vaiolo vero) della malattia.
Da allora diversi nomi hanno segnato la storia della medicina in questo campo da Lady Montagu una scrittrice inglese che diffuse la cultura della variolizzazione nel 700, a Samuel Tissot divulgatore della nuova medicina, per poi arrivare a studiosi importanti come Robert Koch (tubercolosi), Louis Pasteur fondatore della microbiologia che diede nome ai vaccini (in onore di Jenner), Emil Von Behring che vinse il Nobel per i suoi studi sulla difterite, fino a Gaston Ramon (studioso della disattivazione delle tossine batteriche di difterite e tetano).
Per non parlare della lotta alla poliomielite che vide attorno al 1950 Hilary Koprowsky, Jonas Salk ed Albert Sabin al centro di ricerche che furono determinanti per debellare la malattia.
Brevi cenni storici che spero possano accendere l’interesse di qualcuno che abbia voglia e passione di approfondire l’argomento, ma soprattutto premessa fondamentale e base di partenza per parlare di oggi.
Innanzitutto va subito detto che i rischi associati alle malattie prevenibili con le vaccinazioni sono di gran lunga superiori a quelli derivanti dal ricevere i vaccini.
Benefici importanti si hanno anche dal punto di vista della spesa sanitaria, visto che le spese di un programma vaccinale sono sicuramente minori rispetto a quelle della cura della malattia, delle sue conseguenze croniche o invalidanti o, peggio ancora, della gestione degli eventi pandemici (COVID 19 docet).
In questo settore specifico sono stati fatti diversi conteggi in diversi Paesi al mondo, cito solo (ma non a caso) quello della vaccinazione per l’influenza in Italia: la vaccinazione di tutti i cittadini dal i 50 e 64 anni comporterebbe una spesa massima di 78 milioni di euro con un risparmio per Il Sistema Sanitario Nazionale di 746 milioni di euro, con un rapporto costo beneficio di 1 a 10.
Per poter essere efficace però la maggior parte dei vaccini deve raggiungere una adeguata copertura vaccinale nella popolazione. Dove per copertura vaccinale si intende il numero di soggetti vaccinati sul totale dei candidabili alla vaccinazione.
Storicamente la percentuale per le vaccinazioni obbligatorie si è sempre collocata tra il 90/95% con punte anche fino al 99.
Nel periodo 2015/2017 in Italia però per alcune malattie come poliomielite, tetano, difterite, epatite B e pertosse si è scesi sotto la soglia di sicurezza del 95%. Le ultime rilevazioni indicano un miglioramento della situazione ma ad esempio per alcune coperture come quella a 24 mesi della poliomielite, in 4 Regioni (Friuli Venezia Giulia, Marche Sicilia e Veneto) oltre che nella provincia Autonoma di Bolzano, la soglia del 95% è ancora lontana.
Esistono diverse normative Nazionali e Regionali che regolano la materia, ma a noi quello che interessa sottolineare è il valore sociale (al di là di legge ed obblighi) delle vaccinazioni che si riflette sia sul singolo individuo che sulla collettività.
Appare ovviamente chiaro che per in singolo individuo una vaccinazione, con prodotti che naturalmente garantiscano efficacia e tollerabilità e prevenga una compromissione dello stato di salute, è una prevenzione da seguire.
Altrettanto evidente deve essere il fatto che il raggiungimento di una elevato copertura di protezione della popolazione bersaglio (immunità di gregge, herd immunity), rappresenti un valore sociale importante.
Il vantaggio di una eradicazione della malattia è chiaro (vedi il vaiolo) e porta ad una interruzione del programma vaccinale ma è altrettanto scontato che ciò è possibile solo quando vi è la certezza della totale scomparsa dell’agente patogeno (pericolo spostamenti).
Dal punto di vista pratico esistono vaccini con agenti vivi (attenuati) che mantengono la capacità di evocare la risposta immunitaria ma non possono causare la malattia. Vaccini inattivati con procedimenti termici o chimici che possono essere composti da agenti interi o da loro parti. Vaccini ricombinanti, generalmente antivirali, prodotti con tecniche di ingegneria genetica.
I vaccini suscitano una risposta del sistema immunitario (umorale/anticorpi o cellulare) mimando l’infezione naturale senza provocare la malattia. La risposta evoca anche una memoria immunitaria più o meno lunga in genere di durata inferiore a quella provocata dalla malattia. Per questo possono essere richiesti richiami nel tempo.
Uno dei fattori più importanti per la risposta immunitaria è la via di somministrazione del vaccino (orale, intradermica, sottocutanea etc). L’antipolio ad esempio viene somministrata per via orale perché il virus si moltiplica sulla mucosa intestinale.
La somministrazione di vaccini non è totalmente immune da rischi ma questi, come detto in premessa, sono nettamente inferiori ai vantaggi.
Dal punto di vista numerico la segnalazione di eventi gravi nel 2018 è stata di 3,1 su 100 mila dosi di cui il 67% è risultato a carattere transitorio.
Le reazioni più comuni avverse sono febbre, reazioni cutanee locali nel sito di inoculazione, orticaria, vomito. Dalle analisi dei dati nazionali non sono emersi dati che possano influenzare il rapporto beneficio/rischio dei vaccini, confermando quindi la loro sicurezza.
La massima probabilità in eventi avversi gravi si concentra al momento della somministrazione. È quindi cruciale che la seduta vaccinale sottostia a regole di buona pratica al fine di ridurre al minimo i rischi e favorire la gestione più efficace di eventuali reazioni.
I dati della vaccino sorveglianza dicono chiaramente che la stragrande maggioranza degli eventi avversi sono lievi: dolore, rossore, gonfiore nella zona di iniezione e rialzo temperatura (non sopra i 38°), pianto ed irritabilità nei bimbi.
La Regione Veneto ha presentato una descrizione degli eventi avversi più comuni e preoccupanti in età pediatrica, essi comprendono convulsioni, episodi ipotonico ipo responsivi (svenimenti), reazioni allergiche/anafilassi (molto rari).
Molta attenzione quindi viene posta soprattutto nella fase anamnestica (raccolta notizie sul paziente) proprio per intercettare eventuali soggetti con episodi allergici conclamati presenti nella loro storia sanitaria.
Storia, numeri e miglioramenti tecnologici quindi ci indicano in modo chiaro ed inequivocabile che vaccinarsi oggi è molto meno rischioso che ammalarsi.
You must be logged in to post a comment Login