Quante volte abbiamo sentito dire che la pandemia sarà l’occasione per cambiare …con le dissertazioni degli esperti delle diverse discipline, con le parole di narratori e poeti.
Spesso siamo rimasti scettici.
Ma quando a dirlo è Edgar Morin, filosofo, antropologo, pedagogista, sociologo e molto altro, è possibile crederci. Perché ci si può fidare di un intellettuale che si è guadagnato l’appellativo di “Diderot del Novecento”.
Novantanove anni a luglio, una mente geniale sorretta da una profonda umanità; saggista instancabile, tra il 1967 e il 2006 ha prodotto in sei volumi un’enciclopedia dove affronta il pensiero complesso, con il coraggio di essere contro corrente in mezzo a una pletora di intellettuali semplificatori.
Un uomo speciale Morin, che ci racconta di sé a partire dalla propria nascita, un evento eccezionale.
La madre era destinata a non avere figli per i postumi dell’influenza spagnola: seri problemi cardiaci le vietavano gravidanza e parto. Quando rimase incinta fu condotta ad abortire ma il feto sopravvisse ai medicamenti della mammana.
Un inizio di esistenza, afferma Morin, da vero resiliente che ha avuto il dono di una lunga vita ormai vicina alla soglia del secolo.
La nostra società colpita dalla pandemia rischia una grande crisi sociale, politica ed economica ma da questa dura prova ne può uscire indebolita o rafforzata.
E solo cambiando strada ne potrà uscire rigenerata.
“Cambiamo strada” si intitola il suo ultimo saggio che raccoglie le 15 lezioni “del” (e non “sul”) coronavirus.
Dalla storia abbiamo imparato poco: ancora non abbiamo compreso la lezione che ci arriva dalla fine delle due rivoluzioni, quella sovietica e quella maoista, entrambe fallite senza aver prodotto profondi cambiamenti e senza aver liquidato le ingiustizie sociali.
Il loro lascito è una sorta di restaurazione i cui risultati ci appaio oggi nella loro drammaticità: una società tecno- economica fondata su un’insaziabile sete di profitto che assiste impotente alla rinascita dei nazionalismi e delle chiusure etniche e religiose.
Per salvarci non ci basterà diventare “verdi” e occuparci del degrado della biosfera e dell’impoverimento dell’ambiente. Serve integrare l’ecologia con la politica perché il processo diventi “ecopolitica” e conduca alla diminuzione delle diseguaglianze e alla regressione dell’ipercapitalismo.
Morin è ottimista ma senza minimizzare la pandemia in cui siamo immersi. Il virus è spiazzante, disorientante, ha colpito la vita di ognuno di noi insieme a quella del mondo intero.
Per cambiare strada dobbiamo accettare che la scienza non possiede verità assolute ma solo teorie che per loro natura creano conflitti e controversie.
Per cambiare strada si deve imparare a gestire i conflitti, a cooperare anziché a competere: la corsa al vaccino è l’esempio illuminante della necessità di condividere ogni passaggio.
Per cambiare strada bisogna reinventarsi, mettere in campo riforme economiche, sociali, personali ed etiche, convogliare gli sforzi che gli uomini di buona volontà stanno compiendo in diverse parti del mondo.
Il mondo è un luogo incerto per definizione, il futuro un’incognita, la vita un’avventura.
L’essere umano riconosca che è destinato a navigare in un oceano di incertezze rassegnandosi al fatto che ci sarà dato, di tanto in tanto, di posarci, e riposarci, su isole di certezze: questo è il destino dell’umanità.
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