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Cultura

IL GATTO DI FAUSTO AGNELLI

ROSALBA FERRERO - 20/04/2012

Un gatto nero ha la schiena arcuata, in atteggiamento di difesa, il pelo ritto, si percepiscono gli occhi abbaglianti, fanali gialli come i finestrini del treno per Lugano che corre nella valle: nella luce serotina si stempera tutta la tavolozza degli azzurri sino al blu scuro che infonde rilassatezza.

Una figura femminile si ammanta di tutti i colori del sole e lentamente si trasforma in un pavone, novella immagine della trasfigurazione del significante.

Due scheletri amanti si scambiano effusioni su una panchina del parco, icone del carpe diem

Se l’obiettivo di Fausto Agnelli nel momento simbolista del suo iter pittorico è di risvegliare sensazioni, è perfettamente centrato nelle sue opere: la serenità di una quieta sera, la contemplazione della bellezza femminile, il sorriso sarcastico sulla vanitas della condizione umana sono sensazioni che si provano visitando la retrospettiva “Fausto Agnelli tra ebbrezza e disincanto” che la Pinacoteca Züst, continuando l’encomiabile percorso di recupero della memoria storica degli artisti ticinesi attivi nel XX secolo, famosi e ricercati in vita e dimenticati post mortem, propone sino ad agosto.

Mariangela Agliati Ruggia, affiancata da Gabriella Pedrini, ha selezionato oltre cento opere tra tele, lettere, documenti, libri, fotografie, che offrono una vasta panoramica della produzione dell’artista e permettono di ricostruirne per la prima volta la storia personale e artistica attraverso una ricerca accurata e lo spoglio dei giornali della prima metà del ‘900 .

Fausto Agnelli, nato nel 1879 e morto nel 1944, è notissimo nella Lugano della prima metà del Novecento: personaggio eccentrico, dall’aspetto inconfondibile, alto, elegante, dinoccolato col bastone dal pomello d’argento e le ghette, un vero dandy, frequentatore dei salotti più prestigiosi, richiestissimo dai committenti, espone non solo in Svizzera ma anche a Milano, a Lipsia, a Monaco, a Firenze e alle Biennali di Venezia. Nel 1911 ha esordito organizzando una sua personale – fatto davvero inusuale nella Lugano del tempo ma in linea con il carattere ‘narcisista’ del personaggio, prototipo del vero esteta, che vive una vita ‘inimitabile’, come d’Annunzio, come Verlaine, Baudelaire, Wilde, Poe, Debussy, che conosce e di cui, colto e raffinato cultore della letteratura, conserva nel suo studio, un elegantissimo atelier, i capolavori.

L’allestimento della mostra, che segue un andamento cronologico, inizia con le opere che presentano tracce dell’ adesione ai canoni del simbolismo e del liberty: nelle tele del periodo si colgono echi della pittura di Klimt conosciuto alla biennale di Venezia del 1910. La grande tela de ‘Il falconiere’ è esempio di antropomorfizzazione, i colori sono vivi, la stesura è pastosa e risente del divisionismo. Il tema della metamorfosi lo affascina insieme ai soggetti lugubri, alle fantasie macabre presenti nella pittura del tempo attraverso la mano dei simbolisti belgi quali Ensor Redon Böcklin. Agnelli tratta il tema in modo personale, satirico immergendo i suoi soggetti in un’atmosfera metafisica, che richiama i lavori di De Chirico e Rosai ed ecco scheletri che ballano, che ascoltano la musica, che si amano e non suscitano alcuna ripulsa perché sono resi in chiave surreale: su tutto aleggia una velatura di pessimismo generato dalla riflessione sulla caducità della vita.

A partire dal 1918, terminato il conflitto mondiale che porta a riflettere sull’esistenza sotto la luce dell’effimero, del non senso, ecco la produzione della serie di tele che Agnelli definisce ‘Poemetti carnevaleschi’ e che lo consacrerà al successo negli anni Venti. Evanescenti i personaggi – Arlecchini Pierrot Pulcinella Colombine – tratti dalle Commedia dell’arte, inseriti en plein air o in ambienti luganesi: le pennellate aumentano la verticalità delle figure, l’intensità del colore si affievolisce lentamente, prevalgono i toni bruni caldi e rotti da rapidi guazzi rossi. Si avverte una consapevolezza pirandelliana che l’uomo appare mascherato, non per ciò che è realmente, perche è inconoscibile nella sua essenza, nascosta sotto la molteplicità degli aspetti con cui appare agli altri, sotto la molteplicità di maschere, appunto. La maschera è soggetto di numerose opere cui tutte viene attribuito dall’Agnelli lo stesso titolo ‘Maschere’, quasi a sottolineare la moltiplicazione dell’inganno, l’effimera vanitas della parola, l’impossibilità di comunicare: egli diviene interprete di una visione dell’uomo che percepisce il senso dell’isolamento, della solitudine che segna la vita.

La terza sezione della mostra rappresenta una svolta: forse la reazione per uno scritto pungente del Patocchi, ‘Maschere, sempre maschere…’, spinge Agnelli a cercare nuovi temi; è il 1930 quando diviene pittore di paesaggi: gira le valli del Ticino – la Val Colla, Capriasca, la valle Muggio, il Malcantone – cogliendone aspetti suggestivi, propone scorci di case assolate, aggrappate ai declivi che si stagliano contro il verde della vegetazione; i paesaggi sono costruiti attraverso l’uso delle linee geometriche che moltiplicano parallelepipedi e cubi all’infinito. Usa una nuova tecnica pittorica: i colori sono terrosi, brillanti, prevale il verde, fa uso di forti spatolate che permettono al colore di assumere corposità materica. Senz’altro ha presente la lezione di Ardengo Soffici, che ha incontrato alla biennale di Venezia del 1926. I paesaggi ticinesi sono molto apprezzati soprattutto nei cantoni del Nord ove viene insignito del titolo di ‘Maler des Tessins’.

La pregevole tesi di laurea di Gabriella Pedrini ci restituisce un Agnelli allievo all’Accademia di Brera pittore e scultore consacrato al successo nel 1928 quando vinse il concorso per il famoso monumento funebre al pilota Adriano Guex.

La mostra su Agnelli è affiancata da un’altra mostra, celebrativa dei quattrocento anni dalla nascita di Pier Francesco Mola, l’artista di Coldrerio che si traferì a Roma col padre architetto della Camera Apostolica romana. Formatosi alla scuola del Cavalier d’Arpino e in lunghi soggiorni in Veneto, Lombardia, Emilia, lavorò per i committenti più prestigiosi del tempo eseguendo scene mitologiche e bibliche. Le sue figure possenti, rese plasticamente dai chiaroscuri con toni accesi ed effetti cromatici raffinati, hanno grande forza espressiva e sono inserite in paesaggi che diventano elemento essenziale per dilatare la scena rappresentata .

A Rancate si possono ammirare un Baccanale inedito, proveniente da una collezione privata, e alcuni disegni, che appartengono alla vasta produzione grafica dell’artista.

 

Dal 1 aprile 2012 al 19 agosto 2012
Pinacoteca Züst
Rancate, (Mendrisio), Svizzera
Orari: da martedì a domenica: 9-12 / 14-17
Luglio e agosto:14-18
www.ti.ch/zuest
 

 

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