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Attualità

URNE & GIORNALI

SERGIO REDAELLI - 15/10/2020

news_il_sole_24_ore_001Il presenzialismo in tv non sempre garantisce il successo elettorale. Lo si è visto al recente voto regionale-referendario con Matteo Salvini sovraesposto in video e scornato alle urne. Secondo i dati Agcom relativi al periodo 6 agosto-19 settembre, elaborati e pubblicati dal Fatto Quotidiano il 7 ottobre, il leader della Lega ha passato undici ore in televisione stracciando gli altri leader, premier compreso: 575 minuti nei talk e 676 minuti fra Tg e talk in sette reti generaliste di Rai, Mediaset e La7. Contro i corrispondenti 189 e 301 minuti di Conte, 127 e 167 della Meloni, 277 e 297 di Renzi, 238 e 242 di Calenda e i “miseri” 89 e 185 di Zingaretti. Un sistema tv da correggere?

Contraddizioni video-elettorali a parte, il Risiko dei grandi gruppi editoriali per il controllo dei media (anche cartacei) è più che mai attivo. E non sempre agevole. Il gruppo Gedi di Repubblica e L’Espresso, che con Gedi News Network controlla la Stampa, il Secolo XIX, l’Huff Post Italia e alcune testate locali dell’ex gruppo Espresso Finegil, ha venduto il Tirreno, la Nuova Ferrara e le Gazzette di Modena e Reggio Emilia alla Sae di Alberto Leonardis. Stratega dell’operazione è John Elkann, presidente di Exor, la holding degli Agnelli proprietaria di Gedi dal 2019. L’acquirente è il 54enne editore aquilano che nel 2016 rilevò il quotidiano abruzzese Il Centro dal gruppo Espresso, per poi rivenderlo nel 2019.

L’obiettivo di Elkann sarebbe puntare all’acquisto del Sole 24 Ore senza “sforare” la quota di mercato del 20% consentita a ogni editore. Secondo Gedi la Sea “offre le migliori garanzie di continuità, rafforzamento e prestigio delle testate”. Ma alla notizia dell’accordo i giornalisti dei quattro quotidiani (e di altre sei redazioni del gruppo tra cui Provincia Pavese, Messaggero Veneto e Mattino di Padova) sono scesi in sciopero. Per il sindacato di categoria “l’operazione porterà alla distruzione dell’esperienza che da più di 40 anni rappresenta un’informazione locale libera e indipendente legata a un grande gruppo editoriale, L’Espresso, ora Gedi. Ciò ha garantito l’uscita di giornali di qualità in decine di province italiane”.

“È evidente – conclude il comunicato – che la vendita a editori che mai hanno fatto questo mestiere indebolisce l’intero sistema informativo italiano”. Il Sole 24 Ore è il quotidiano economico-finanziario della Confindustria e il suo acquisto, al momento solo teorico (“non è in vendita” ribadisce Confindustria), potrebbe creare un potente trust editoriale e pubblicitario. Gedi è proprietario anche di tre radio nazionali, Radio Dee-jay, Radio Capital e Radio m2o e delle emittenti m2o tv, Radio Capital tv e Dee-jay tv. Inoltre opera nel segmento dei nuovi media con Gedi Digital e dispone della concessionaria di pubblicità Manzoni & C.

Gedi non è l’unico colosso editoriale del Belpaese, ce ne sono almeno altri quattro. Mediaset è l’editore di Canale 5, Italia 1 e Rete 4; Urbano Cairo possiede il Corriere della Sera (Corriere.it è il primo quotidiano online), Rcs (terzo gruppo digitale in Italia dopo Facebook e Google), pubblica numerosi periodici e controlla l’emittente televisiva La7; Fininvest è proprietaria di Mondadori; e al gruppo Monti fanno riferimento il Giorno di Milano, la Nazione di Firenze e il Resto del Carlino di Bologna. Troppi giornali in poche mani? Da tempo si parla di una nuova legge sull’editoria che regoli le concentrazioni. L’ultima legge, la n. 67 del 1987, richiama la legge di riforma n. 416 del 1981 che fissava i “tetti” in base alle tirature dei giornali.

Ma l’avvento di Internet con gli effetti depressivi sulle vendite dei quotidiani ha cambiato tutto. Una nuova legge dovrebbe tenere conto dei risultati complessivi dei gruppi editoriali, carta stampata e online, radio e televisione, rivedendo limiti e quote della raccolta pubblicitaria. Il problema della concentrazione delle testate giornalistiche si trascina dagli anni Settanta del secolo scorso. Troppi organi di stampa, giornali e tv concentrati in poche mani non giovano al pluralismo e in prospettiva neppure alla democrazia. Soprattutto se generano conflitto d’interessi quando il controllo dei media coincide con ruoli politici che possano trarne vantaggio.

Siamo in Italia e i problemi richiedono decenni prima di essere non si dice risolti, ma almeno affrontati. Senza contare l’eterno problema della riforma della Rai, il servizio radiotelevisivo pubblico finanziato dagli italiani con il canone d’abbonamento che dovrebbe garantire un’informazione refrattaria ai compromessi politici, estranea alle lottizzazioni partitiche e resistente ai condizionamenti pubblicitari. Il consiglio di amministrazione conta oggi sette membri di cui quattro nominati dal Parlamento, due dal Governo e uno dall’assemblea dei dipendenti. Spostare il controllo a una Fondazione indipendente assicurerebbe più autonomia.

La buona notizia in un momento difficile sul fronte occupazionale con stati di crisi, casse integrazioni e prepensionamenti in atto dovuti alla pandemia – con ricadute pesanti sull’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti – è che la Rai ha ufficializzato l’assunzione di 240 nuovi giornalisti. Si tratta di collaboratori che già esercitavano la professione con contratti da programmisti, assistenti, registi e precari. Due terzi donne ed altrettanti a partita Iva. La mega-assunzione regolarizza, dopo anni di attesa, la posizione di lavoratori di programmi giornalistici come Uno Mattina, Porta a Porta, La vita in diretta, Agorà, Report o Carta Bianca.

Dei guai dell’informazione si occupa anche la Presidenza del Consiglio, che conta di rilanciare il settore con l’aiuto del Recovery Fund, il denaro che l’Europa metterà a disposizione da gennaio 2021. Il sottosegretario con delega all’editoria Andrea Martella lavora a un piano triennale, da presentare a gennaio, che prevede aiuti alle aziende che investono nella transizione digitale e a quelle che si dotano di strumenti contro i cyber-attacchi e le fake news, un fenomeno che si è aggravato con l’emergenza sanitaria. Sostegno fiscale e contributivo è previsto per stabilizzare figure finora rimaste nel limbo del precariato e per ricollocare giornalisti disoccupati.

Gli editori godranno inoltre di contributi per organizzare corsi di formazione, di aggiornamento e per promuovere un ampio ricambio generazionale nelle redazioni. Altre misure riguardano gli investitori a cui sarà data la possibilità di recuperare il 50% della spesa pubblicitaria sui media anche online, i distributori di giornali e gli edicolanti che beneficeranno di crediti d’imposta. E ancora il piano di Martella prevede bonus alle famiglie dal reddito basso per comprare tablet e abbonamenti ai giornali, voucher agli over 65 per gli acquisti in edicola e bonus-cultura da 500 euro per i diciottenni.

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