Le regole del gioco si stabiliscono insieme, prima d’iniziare, e non mentre si gioca. Nessuno si sognerebbe di cambiare le regole del fuori gioco mentre si sta giocando una partita di pallone. O magari annullare un gol perché l’arbitro s’inventa sul momento, di sana pianta, una nuova regola per cui, per dire, si tira in porta solo col piede destro. Mentre se lo fai col sinistro non vale. Si può fare anche una regola di questo tipo, ma va stabilita prima. Se un episodio del genere dovesse accadere davvero, si rischierebbe una rivoluzione.
E sarebbe anche comprensibile, perché si sa che le cose non possono andare così. Fa parte del vivere civile scrivere prima le regole e poi misurarsi. L’abbiamo imparato a scuola, dalla prima elementare in su. Lo sanno anche i muri. Per cui, per esempio, nessuno si azzarda a far campagna elettorale il giorno delle elezioni. Mentre si vota bisogna far silenzio, per rispetto degli altri e difatti, da che mondo è mondo, nessuno si azzarda. Di recente, anche su questo, qualche strappetto c’è stato e andrebbe sanzionato, non tanto perché quell’infrazione abbia cambiato il corso di una tornata elettorale, ma perché ha infranto una regola. E, si sa, un’infrazione tira l’altra. Dopo un po’, non si capisce più nulla e vengono meno quelle regole dello stare insieme, che fanno di una società una società civile.
Rischi del genere, purtroppo, sono all’ordine del giorno. L’ultimo da registrare è a Firenze e riguarda la demolizione/ristrutturazione dello Stadio Artemio Franchi (da 35.000 posti). Uno stadio bellissimo, progettato negli anni ’30, ma che è in condizioni di degrado. Adesso, si trova in un quartiere densamente abitato, mentre quando fu tirato su, era una periferia. Nacque come esito di un concorso, che fu vinto da un giovanissimo ingegnere, Pier Luigi Nervi, e sarà una delle sue prime opere. Un pezzo d’architettura di pregio per la qualità del progetto strutturale, di “grande eleganza formale”, attento agli aspetti economici, con dei mensoloni che sostengono la pensilina che “sembrano quasi disegnati dalle esigenze statiche e hanno un’efficacia d’impatto visivo straordinaria”, insieme alle più note scale elicoidali. Per farsi un’idea di che cosa si tratta, non c’è da far troppa fatica, basta sfogliare un qualsiasi manuale di architettura o d’ingegneria contemporanea e si vedrà che è considerato da tutti un capolavoro. In Italia e all’estero.
Su giudizi come questo, ovviamente, si può dissentire, si può non essere d’accordo. Come per tutte le cose che hanno a che fare col tema dell’arte. Può piacere e non piacere, anche se a dare la linea non può essere l’emozione o l’interesse del momento, oppure la superficialità di giudizio poco informato di qualche invasato. Ma su un punto non si può transigere e cioè, sul fatto che si tratti di un bene tutelato con un provvedimento di vincolo (con tutte le prevalenze del caso, introdotte dal decreto legge sugli stadi a garanzia di sicurezza, funzionalità, adeguamento agli standard e sostenibilità economico-finanziaria). Nel 1983 fu fatto un accertamento tecnico-scientifico con cui si certificò che quell’opera era un’opera di valore e che pertanto meritava di essere conservata. A che titolo fu fatto quell’accertamento? Non certo a titolo personale. Fu fatto per effetto di una legge dello Stato, quella del 1939 (legge 1089/1939) che ha trovato accoglienza nella Costituzione repubblicana per effetto dell’art. 9, dove si dice che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Dunque, quel bene, lo Stadio Artemio Franchi, è tutelato per effetto di una regola che ci siamo dati – formulata in pieno regime fascista e confermata dopo, in regime democratico – e che trova fondamento in un articolo della prima parte della Costituzione. Adesso quello stadio dovrebbe essere demolito tutto o in parte per far posto ad uno stadio diverso. Probabilmente più grande (ma delle riflessioni son state fatte sulla pressione urbanistica che si verrebbe ad esercitare sull’area?), con più servizi e non più pieno di ruggine. E per far questo (visto il diniego manifestato comprensibilmente dalla soprintendenza ad un’operazione del genere) sarebbe stato approntato un emendamento al decreto legge Semplificazione, per superare l’impasse che prevede di sottrarre non solo lo stadio di Firenze, ma tutti gli stadi del territorio nazionale, al regime di tutela previsto dalla legge.
Un classico tentativo di cambiar le regole in corsa, in maniera sbrigativa, con poco rispetto per le cose e per le istituzioni. Può anche darsi che l’Artemio Franchi vada demolito e rifatto (è facile avere un’opinione del tutto contraria, come la mia). Ma una decisione del genere non può essere presa in questo modo. A Firenze nel Quattrocento, per la cupola di Santa Maria del Fiore, si fecero dibattiti infiniti e il progettista fu addirittura portato fuori a braccia dall’aula in cui si discuteva, tanta era la foga della discussione. Ad essere strapazzato così, era niente di meno che Filippo Brunelleschi, non proprio l’ultimo venuto. Oggi, in quattro e quattr’otto, si vorrebbero decidere le sorti di un’opera come quella progettata da Pier Luigi Nervi, solo per mandare meglio il pallone in tribuna?
Meno male che qualche segnale di resipiscenza, di ravvedimento, c’è. Pare che l’amministrazione comunale abbia stanziato, adesso, un milione di euro per la manutenzione degli elementi strutturali dello stadio, arrugginiti dal tempo e dall’incuria. Vuol dire che il buon senso non è andato perduto. E vuol dire anche che qualche dubbio su un’operazione del genere c’è. Lo stadio fiorentino non è l’ombelico del mondo, ma quel che sta accadendo vale una riflessione sulle regole del gioco, sulle procedure, che in democrazia, stando a chi è del mestiere, sono dei “beni primari”. Non un orpello.
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