Giorgetti aveva allertato Salvini: su questa strada non vai lontano. Difatti. Sondaggio 1, estate 2019: picco del 40 per cento. Sondaggio 2, autunno 2020: flop sino al 23. Nel percorso tra l’1 e il 2, glorie del Papeete e polvere delle amministrative, più sconfitte che vittorie. Rovescio-simbolo a Cascina, provincia di Pisa, sindaco uscente Susanna Ceccardi, europarlamentare che il Capitano candidò alle regionali di Toscana. Perdendo. L’epigono della mancata governatrice, Cosentini, ha dovuto inchinarsi al candidato del centrosinistra, Betti. Una figuraccia, non la sola: memento Saronno e Legnano (Legnano!). E non la prima.
La Lega sovranista che piace a Salvini e dispiace a Giorgetti ha vissuto momenti di brindisi mediatico-popolari. Ma quando si è passati dalle parole ai fatti, fiducia rappresentativa anziché slogan tribunizi, il castello propagandistico è crollato. Il vecchio saggio (Giorgetti) indicava la prospettiva di virata al centro come rimedio in corsa cui affidarsi per non cadere. Il giovane rampante (Salvini) non l’ha ascoltato. I risultati di regionali e comunali danno ragione al primo, torto al secondo. Totale: Carroccio in sovrane ambasce, com’è risaputo da quelli che ci vivono dentro, e da tempo incrociano un timorato discutere.
Salvini ha snaturato la Lega delle origini, volendone fare un partito nazionale, sulle tracce (si parva licet) dei vari Trump, Johnson, Bolsonaro, Orban. Ma la conquista del Sud, indispensabile a realizzare il progetto nato al Nord, non è mai avvenuta. Segnali qui e là d’entusiasmo follaiolo all’inizio, poi il declino a cascata. Troppo ripetitivo nel suo cantilenare Salvini, più credibile il profilo destrista della Meloni, e meglio accreditato presso i moderati Berlusconi. L’esempio del Cavaliere, mai aggressivo in epoca Covid per non collassare gl’italiani spaventati, è stato ignorato dal selfista evocatore della catastrofe economica. Un errore pagato nelle urne.
E adesso? O prevale la linea Giorgetti, e la Lega diventa postdemocristiana, europeista con maglia Ppe, concreta in un riformismo prudente. O Salvini alza la posta della scommessa, si fa estremo nell’azzardo di un’ultima partita di dadi, e chi vivrà vedrà. Ma senza trovare sponda tra gli alleati di coalizione, e tantomeno nel fronte economico-sociale, convintosi che la legislatura non subirà interruzioni anticipate. Col governo bisognerà convivere, e in caso d’emergenza-shocking esser parte d’un asse di sostegno istituzionale al Paese. Se tracolla, scampo zero per chiunque.
Tutto questo avrà una ricaduta sulle elezioni locali del 2021. Si va verso l’alleanza organica Pd-Cinquestelle e verso candidati di centrodestra dal profilo ancora da disegnare: sulla sagoma di Salvini o no? Sembra di no, dopo la fresca conversione del capo alla ‘rivoluzione liberale’; a scegliere ‘i candidati migliori’ anche se non leghisti; ad aprirsi al mondo degl’indipendentisti o civici che dir si voglia. Resta da capire, scendendo sul terreno varesino, se la virata favorirà o no Maroni nel ruolo di sfidante del Galimberti bis. Sì, nel caso in cui potesse sostenere la campagna elettorale indossando la sua mise. No, dovendosi infelpire in quella cara al segretario: il centrodestra andrebbe in confusione.
Ecco, nella piccola ridotta bosina, i danni che paventava Giorgetti e che non vedeva Salvini. Potrebbe ricominciare a non vederli? Mah. Nel frattempo sarebbe curioso sapere da quale parte sta Maroni: con il coerente Giorgetti o con l’incoerente Salvini? E duobus unum, come sa bene chi ha ricevuto il prestigioso Cairolino del liceo classico di via Dante.
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