(S) Sembra che tu abbia centrato un tema d’attualità, parlando di necessario rinnovamento della città di Varese. Nei giorni immediatamente successivi alla tua ultima proposta sono usciti due importanti articoli sul Corriere della Sera. Vale la pena di riprenderli e di allargare il nostro ragionamento?
(C) Si, vale la pena, ma più per evidenziare la diversità del punto di partenza rispetto al nostro, che per aderire alle conclusioni di pur illustri studiosi. Parliamo di:
“Cambiano le gerarchie urbane. Ma le città non moriranno” di Edoardo Campanella e Francesco Profumo, e
“La società dei confini e i privilegi da superare” di Dario Di Vico (Corriere 28.9.2020).
Nel primo la preoccupazione è di tipo economico- sociale; la constatazione di base è il cambiamento nel modo di lavorare imposto dalla ‘scoperta’ del lavoro a distanza, originata dal lockdown, la conseguenza temuta è la perdita d’importanza della ‘città- motore’ dello sviluppo e dell’innovazione (la grande metropoli) a beneficio di realtà più comode e meno dispendiose, con la conclusione che il cambiamento di ‘gerarchia’ all’interno della ‘classifica’ delle città potrebbe non essere un male, ma deve essere compreso e valorizzato.
Nel secondo articolo si conferma a livello universale la stranezza, da noi evidenziatala volta scorsa nel caso di Milano, del voto per il NO e in generale meno populista, quindi oggi più marcatamente a sinistra, dei quartieri alto-borghesi delle città, specialmente delle più importanti, identificati sotto la sigla ZTL (zona a traffico limitato), che diventa il simbolo di uno dei tanti privilegi di cui godono i più abbienti. Ne consegue l’invito alla classe dirigente a non chiudersi nella parte ‘buona’ della città: “Se l’innovazione non è capace di parlare con questi mondi finisce per generare un effetto bolla con la triste conseguenza di non far nascere mai in Italia una vera constituency della modernizzazione. Lunga vita dunque alle Ztl ma dobbiamo chieder ai loro abitanti non tanto un’abiura di tic e linguaggi quanto di mettersi a disposizione per ricreare una connessione con il Paese reale. Lasciare da parte l’arroganza basata su un’indimostrabile superiorità antropologica e sporcarsi le mani con la difficile costruzione di una società dei tanti.”
La conclusione che traggo da questi interventi è quella di un necessario ripensamento dei valori base del governo delle città, che però va collocato in un contesto molto più ampio di quello amministrativo.
(O) D’accordo; non ho mai sopportato che si dicesse che un sindaco deve avere le qualità di un buon amministratore di condominio. Non si tratta solo di ottenere il consenso della maggioranza, cosa già difficile in un condominio, si tratta di avere visione prospettica, nello spazio, penso ai rapporti con altri enti, Stato, Regione, altre città, e nel tempo, la visione degli sviluppi futuri, aggiungendo all’economia e alla socialità, anzi anteponendole come prioritarie, l’educazione e il rimedio al declino demografico.
(S) Badate di non perdervi nei vostri sogni, che potrebbero diventare dei veri labirinti onirici. Di Vico, come il Corriere da un secolo e mezzo, si sforza di credere nella bontà intrinseca della borghesia progressista e della sua capacità di garantire l’esistenza della democrazia. Io , invece voglio mostrarvi quanto il compito di garantire la democrazia sia ,oggi in Italia, un po’ più difficile e vi segnalo all’uopo un altro articolo, questo solo citato dal Corriere nella sua rassegna stampa:Politica “viscerale” e emo-crazia (o vizi e virtù delle scelte di pancia), di Manos Tsakiris, docente di Psicologia alla Royal Holloway University di Londra, tratto dalla rivista di filosofia “ AEON”.‘Emocrazia’ è un neologismo, ovviamente storpiatura di democrazia e indicherebbe il dominio della parte emozionale su quella razionale, nel momento delle scelte politiche tipiche del sistema democratico, che quindi corromperebbe il senso ultimo della democrazia e in fondo della ragione di esistere dello Stato e di ogni forma di potere sovraordinato alla totale libertà dell’individuo: “l’idea hobbesiana che il governo esista per mantenere i cittadini al riparo dai propri peggiori istinti (homo homini lupus), per esempio, può essere letta come una risposta al modo estremo in cui gli umani possono esprimere le loro emozioni.” Di qui la conclusione che democrazia, al contrario della teoria Hobbesiana dello Stato- Leviatano, dovrebbe significare affidarsi alla razionalità per indirizzare nella giusta direzione politica le nostre emozioni, esigenze, paure, incertezze in una alleanza tra la nostra ‘corporeità’ e il ‘corpo politico’. |
(C) Quest’ultima idea non è per nulla sbagliata, ma la esprimerei con un concetto più sintetico, quello di ‘comunità’. Il mio patto fondativo non crea una realtà istituzionale sovrordinata alla persona, ma riconosce e difende la natura relazionale della persona stessa. Non penso al villaggio primordiale dove tutti sono buoni e cooperano volentieri e senza contrasti, non credo sia mai esistito, come non è mai esistito il suo contrario, l’ homo homini lupus, penso effettivamente ad una relazione tra persone prima, e poi tra persone e istituzioni, in cui il compito delle persone chiamate a responsabilità di governo sia quello di aiutare a comporre le diversità, tenendone conto e non cercando di eliminare semplicemente quelle sgradite alla propria parte.
(S) Vuoi proprio riconfermarti ‘estremista di centro ’! (C) Se così ti piace. Ma mi pare che sia giunto il momento di tornare a Varese, spero arricchiti dalle considerazioni precedenti. Un’ipotesi di governo della città in forma di comunità, che superi il contrasto visceralità-razionalità, che faccia uscire le elités dalle loro comfort-zone (la ZTL era solo una delle tante circostanze di privilegio e quella di Varese è tanto piccola da essere socialmente irrilevante), dovrà tener conto di molti altri fattori, oltre quello già annunciato e parzialmente descritto di ricucitura delle periferie tra di loro e con il centro, primo fra tutti l’effetto sulle modalità di relazione e di lavoro indotte dalla tempesta perfetta innescata dal covid19 . Nella prima delle apologie dedicate a questo tema, accennavo alla valorizzazione della ‘corona’, intendendo con questo concetto i comuni che con il capoluogo hanno una stretta correlazione in vari campi: scolastico, lavorativo, residenziale, dei servizi, ambientale. Aggiungendo questo ultimo concetto, riconosco che l’orizzonte territoriale si dovrebbe allargare assai, non potendo escludere né il Lago di Varese, né il Parco del Campo dei Fiori. Il PATTO FONDATIVO, esteso a tutti i comuni interessati da questo ambito, richiederebbe probabilmente impegno e generosità notevoli da tutti i soggetti, ma particolarmente da parte del Comune di Varese. Una proposta magari razionale, ma poco adatta a contenere esigenze ‘viscerali’, normalmente egoistiche. Occorrerebbe procedere con pazienza ed attenzione. Quindi anch’io mi limito, per ora a suggerire poche misure, seguendo le priorità già indicate. FAMIGLIA, EDUCAZIONE. Reciprocità, quindi parità di diritti e di costi nell’accesso ai servizi della prima infanzia gestiti dai comuni. Altrettanto per quanto riguarda i servizi sanitari del territorio, che invero non dipendono dai comuni, ma che devono essere ricondotti a questa logica. Un solo esempio, la scelta del Medico di Medicina generale e ancor più quella del Pediatra è molto più ristretta, quindi penalizzante, per chi non rientra nell’ambito varesino. Anticipando un tema che riguarda materialmente il capitolo mobilità, sostengo che si possa e quindi si debba rendere più facilmente accessibili le scuole superiori e l’Università agli studenti che non risiedono nel centro di Varese o sugli assi principali della mobilità suburbana. LAVORO, ECONOMIA. Sappiamo che l’acme dello sviluppo industriale del nostro territorio è già passato. Non è pensabile che ci sia una ricetta che ci riporti agli anni cinquanta e sessanta. Tuttavia nuove imprese, le famose start-up, nascono anche da noi, sebbene più nel ramo dei servizi che in quello manifatturiero. Zone di sviluppo industriale, artigianale e di logistica potrebbero essere individuate nel territorio della Corona e dotate dei servizi e delle condizioni di mobilità necessarie. MOBILITA’. Chi abbia gettato un occhio alla geografia cittadina, magari incuriosito dalla mappa del servizio di trasporto pubblico locale, pubblicata la volta scorsa, avrà capito da sé che uno dei problemi irrisolti da gran tempo è la concentrazione del traffico sul centro città, anche quello di semplice attraversamento. Peccato originale, risalente alla storia più remota e al neppure troppo recente ‘imperio’ costitutivo del capoluogo è la mancanza di una circonvallazione stradale e di raccordi agevoli con i principali comuni della Corona. La conformazione collinare e la presenza della valle dell’Olona, che frattura visibilmente il territorio ne sono state le cause principali: ora è il momento di tentarne il superamento. Il raccordo del peduncolo autostradale con viale Europa e con via Selene è un timido passo. Atteniamo da molto tempo un progetto credibile e le risorse necessarie per proseguire oltre Casbeno, almeno fino ad aggirare il fitto agglomerato di Masnago e togliere a via Campigli l’impropria funzione di circonvallazione supplente. Altre minori questioni relative alle strade le lasciamo ai futuri amministratori, passiamo invece al sistema ferroviario, su cui si avviata da tempo una ricca e articolate discussione. Per trovare una soluzione compatibile con le risorse (che non saranno mai né abbondanti, né facili da ottenere, nonostante l’enfasi sul Recovery Fund e la sua possibile destinazione ad infrastrutture) occorre rivolgersi anche ad un orizzonte ben più vasto di quello cittadino , quello che comprende da un lato Milano, dall’altro la Svizzera, come luoghi di possibile offerta di lavoro per i varesini e come origine di flussi turistici e commerciali. Quindi sono arrivato al punto di sparare le mie migliori cartucce: ora che finalmente il raccordo ferroviario Arcisate-Stabio ha connesso Varese con la linea internazionale del Gottardo e accidentalmente anche con Malpensa e con Como, questo raccordo va valorizzato e sfruttato al massimo delle sue potenzialità, ma, ahimè, sono rimaste due brutte strozzature: la insufficienza della linea tra Varese e Induno, rimasta ad un solo binario, e la mancanza di un raccordo diretto con le Ferrovie Nord che consenta di avviare treni destinati ai frontalieri anche dalle provenienze di Laveno e di Malnate. (S) Caspita! Ma chiedi cose di una grande importanza, sia come investimento, sia come impatto sul terreno! Soldi e sventramenti di zone abitate. (C) Infatti, per quando riguarda il tratto varesino che, per intenderci costeggia viale Valganna, l’Associazione Alta Capacità Gottardo, allora presieduta da Giuseppe Zamberletti, sostenne a spada tratta non solo la realizzazione dell’attuale raccordo, ma proponeva di approfittare proprio della fermata delle corse per i lavori, per realizzare il raddoppio su questo tratto, sostituendo l’attuale massicciata con un viadotto, che avrebbe consentito la realizzazione del raddoppio, pur preservando la percorribilità delle strade cittadine ad esso parallele. Oggi, ovviamente, è molto più difficile e costoso. Però insisto, pur parlando da profano: siccome tutti i ponti hanno una loro obsolescenza e prima o poi andranno rifatti, cominciamo proprio dal ponte sull’Olona a rendere disponibile un nuovo manufatto, che con un meno problematico prolungamento in area varesina offrirebbe almeno un punto d’incrocio, anche se il tratto restasse in parte a binario unico. (S) Benvenuto nel mondo delle proposte di Onirio, nel mondo dei sogni! (C) Lo sapevo. Il massimo che posso dire a difesa del mio senso della realtà è che parlo nell’ipotesi di un uso del Recovery Fund volto alla creazione di valore e non a mance preelettorali. Giacché ci sono, analoga considerazione la faccio per il ponte di Malnate delle FNM. In questo caso è solo questione di soldi, c’è la fattibilità tecnica dell’intero raddoppio fino a Varese, ci sarebbe una ragguardevole utilità urbanistica nello spostamento dei binari su un percorso diverso da quello dell’unico attuale. Occorre solo (solo!) convincere la Regione Lombardia della maggiore utilità di questo investimento, rispetto ad altri, magari utilizzando proprio quegli argomenti sul cambiamento nella gerarchia della città ben illustrato dall’articolo citato di Profumo e Campanella. Ma di questo, per oggi basta. Voglio invece ringraziare sinceramente Gianfranco Fabi e Dedo Rossi per aver fatto riferimento alla mia precedente proposta di rivalorizzazione delle periferie. A Rossi riconosco in particolare di aver compreso ed manifestato con un sentimento molto sincero quella ragione di fondo del mio pensiero che oggi ho espresso usando il termine “comunità” per indicare sia l’origine sia lo scopo del nuovo patto fondativo: non venire incontro (soltanto) agli interessi concreti di classi sociali, sia influenti, sia emarginate, ma aiutare a ricostituire, di tutte, una comunità. (S) Sebastiano Conformi (C) Costante (O) Onirio Desti |
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