Diversi milioni di italiani hanno – come me – votato No al referendum e continuo a credere che abbiano avuto ragione, ma soprattutto che almeno abbiano “pensato” senza abbandonarsi a una demagogia che un mese fa vedeva i Sì al 90%.
Nel novero dei “pensanti” vanno ovviamente messi anche tanti Sì, sono persone che hanno scelto convintamente e non solo demagogicamente, riflettendo sulla situazione del nostro sistema democratico rappresentativo ed illudendosi forse di poter dare così una “spallata”.
L’esame dei flussi elettorali sottolinea che comunque circa un terzo degli elettori del PD e un quarto degli elettori di centro-destra pare abbiano votato No a dispetto delle indicazioni dei loro leader. Meloni e Salvini sapevano del risultato annunciato e quindi non hanno osato mettersi ufficialmente nel campo del No, forse senza accorgersi che hanno perso una occasione storica per mettere Conte spalle al muro. Probabilmente un loro schierarsi ufficialmente sul No non avrebbe però portato ad un esito finale diverso e quindi hanno scelto la strada della prudenza. Certo hanno consegnato la vittoria al M5S e a Conte e non sono apparsi tra i co-vincitori. Lo stesso sta avvenendo per le regionali: come in Emilia a gennaio, ora in Toscana e in Puglia la vittoria sfiorata diventa una sconfitta perché – quando sembra che finalmente si supererà l’asticella – almeno nelle sue roccaforti il PD e il suo “giro” vincono sempre.
Radicamento, clientele, capacità di mobilitazione: alla sinistra va riconosciuto di saper far politica meglio degli avversari, troppo legati alla superficialità, all’improvvisazione, alla scelta di candidati poco apprezzati dalla base (o illogici: Firenze è metà della Toscana, se non metti un candidato fiorentino difficile vincere, mentre in Puglia riproporre ancora vecchi candidati…). Resta il fatto che ora Conte non se ne andrà, Zingaretti incasserà le cedole di posti e di potere e avrà più forza di prima anche verso i 5Stelle. È vero che 15 regioni in Italia su 20 sono ora con l’opposizione, ma la spallata non c’è stata.
E adesso? Logorata Forza Italia, nella Lega Salvini ha perso appeal (Zaia incombe), la Meloni ha quasi triplicato i suoi voti sul recente passato, ma non sfonda al Sud e li ha sottratti agli alleati e quindi il saldo complessivo non cambia. Certamente il presidente Mattarella dovrebbe chiedersi – ma non lo farà – quale legittimità abbia ora un Parlamento “incostituzionale” dove il partito di maggioranza relativa è sceso in due anni dal 24,26% al 2,39% (in Veneto) dal 30,13 al 7,78 (Liguria) dal 24,68 al 7,02 (Toscana), dal 35,55 al 7,12 (Marche), dal 45,5 al 9,99 (Campania) e dal 44,9 al 9,85 (Puglia). Parlamento sicuramente delegittimato ma – non ci avevano pensato quelli del Sì che volevano dare la “spallata”? – non è ora comunque possibile sciogliere le Camere prima di una nuova legge elettorale e nuovi collegi, ovvero passeranno mesi con Conte a tentare di raggiungere il 2022 e ripararsi dietro al “semestre bianco” del pre-Mattarella bis per arrivare incolume a fine legislatura.
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