Il recente passaggio della coordinatrice nazionale dei “Verdi” a Varese, mi offre lo spunto per una riflessione e qualche ragionamento sulla cultura ambientalista e sul movimento politico dei “verdi” italiani.
C’è una domanda di fondo che credo possa guidare ogni tipo di ragionamento circa la dimensione politica dell’ambientalismo organizzato nel nostro Paese e cioè, a fronte dei successi che, ormai, da diverso tempo, in Europa contraddistinguono diverse formazioni nazionali dei verdi, su tutti quelli tedeschi, come mai in Italia questo non è avvenuto?
Nella mia testa, l’esempio più riuscito mi appare quello dei “Grünen” che oggi sono il terzo partito in Germania e con ampia possibilità di divenire il secondo, sbalzando la SPD e che, tra l’altro, oggi, sono al governo in 8 Land su 16.
Un po’ di storia sicuramente ci aiuta a capire al meglio le ragioni di un successo, ma anche le differenze tra Italia e Germania.
L’attuale formazione Alleanza 90/Die Grünen è figlia della riunificazione tedesca. Nel 1993 infatti i Grünen (i verdi) della Germania Ovest si fondano con Alleanza 90 dell’Est, formazione quest’ultima che raggruppava diversi gruppi del dissenso dell’allora Germania comunista.
Ma i verdi tedeschi hanno una storia più antica. “Die Grünen”, i verdi, nascono nella Germania Ovest negli anni settanta. Hanno una forte, fortissima, iniziale impronta antisistema. Nascono nell’estrema sinistra alternativa sessantottina e contestataria, fortemente ecologista, antinucleare e pacifista. La loro evoluzione politico organizzativa è interessantissima. Ben presto si assiste alla divisione tra Realò e Fundi (pragmatici e fondamentalisti), ma il vero salto di qualità lo fanno entrando nel governo di coalizione nel 1998 guidato dal socialdemocratico Schroder e con Joschka Fischer vice cancelliere e Ministro degli Esteri, nume tutelare e punto di riferimento dell’intero movimento anche ora.
Il governo rosso verde dura sino al 2005 e da li, tra alti e bassi, assistiamo all’evolversi del movimento sino agli ultimi anni in cui si afferma come forza politica di primo piano votata in maniera trasversale sia da chi prima guardava a sinistra, sia da chi guardava al fronte conservatore.
Oggi i verdi (Alleanza 90/ Die Grünen) sono capitanati da due coordinatori (entrambi, tra l’altro, a detta degli analisti possono aspirare anche alla cancelleria) Annalena Baerbock e Robert Habeck, ma non solo, oggi, sono totalmente emancipati dal radicalismo ecologista pur continuando a portare avanti numerose istanze e sono, altresì, distanti dagli stereotipi che in passato li identificava con la sinistra radicale, tanto da poter essere, ora, associati, con la loro agenda politica civico/liberale fatta di temi quali l’integrazione, la migrazione controllata, le politiche a favore delle donne ed una proposta economica moderata e liberale anche ad una possibile coalizione prossima ventura con la CDU/CSU.
E dunque, a questo punto, la domanda è, ma come mai in Italia la storia politica del movimento ecologista è così diversa tanto da non riuscire, il più delle volte, a non avere rappresentanza politica e a non superare le soglie di sbarramento?
Il primo aspetto lo colloco nel passato. L’assenza di un leader capace di tracciare la via. Insomma, l’assenza di un Joschka Fischer in grado di prendere sulle sue spalle le sensibilità ecologiste e di tradurle in sano pragmatismo, ma con una visione politica. In definitiva la scomparsa prematura del carismatico Alex Langer ha certamente ridotto le possibilità alle origini della scelta ambientalista nel nostro Paese.
Secondo aspetto non indifferente. A mio parere fin dalle origini i temi cari ai verdi sono stati in buona parte assorbiti, nel nostro Paese, sia a sinistra attraverso le diverse associazioni collaterali ai partiti storici di questa area culturale, sia dai partiti moderati. Così, nella cosiddetta prima Repubblica le diverse istanze hanno trovato cittadinanza, restringendo di molto il possibile bacino elettorale, anche se poi non hanno trovato concreta soluzione.
Un terzo elemento che a mio avviso ha limitato la crescita sta nel fatto che nel nostro Paese i temi come la disoccupazione, lo sviluppo economico e la povertà sono preponderanti rispetto al percepito del problema del cambiamento climatico e perchè molte volte il messaggio ambientale è visto come un freno, un blocco rispetto alle possibili opportunità di crescita.
Un ultimo aspetto che riguarda tuttavia più il presente è dato dal fatto che diversi temi ambientali sono patrimonio dei cinquestelle e quindi di una forza politica composita anche se in crisi di consenso e di classe dirigente.
A fronte di questo quadro allora la domanda che sorge è: gli ostacoli che hanno in passato limitato la crescita degli ambientalisti sono ancora validi? È cambiato qualcosa nella società italiana e nella proposta politica?
Provo a fare qualche ragionamento. In questi ultimi anni per tutta una serie di motivi è cresciuta la sensibilità ambientalista nel nostro Paese. Sicuramente in maniera molto più marcata nelle giovani generazioni e il fenomeno “Greta” è stato sia miccia sia termometro di qualcosa che stava crescendo. La pandemia recente poi ha accentuato una consapevolezza e cioè che occorre cambiare stili di vita, immettere sempre più elementi che modifichino in meglio le nostre città attraverso nuova mobilità e sviluppo sostenibile al fine di abbattere gli agenti inquinanti e, in ultimo, che occorre cambiare i paradigmi economici sino ad ora dominanti.
Tutto questo è sufficiente per dare una spinta alla presenza politica dei “verdi” italiani? O meglio, sono i “verdi” in grado di interpretare, intercettare queste emozioni presenti nella nostra società. Nel nostro Paese, almeno allo stato attuale, ci sono ancora due freni, due elementi che ancora rendono fragile la presenza organizzata dell’ecologismo politico. Il primo. I 5stelle coprono ancora un bacino elettorale di attenzione ai temi cari all’ambientalismo. Li coprono, ma anche li usano in una logica estremista, di radicalismo ecologista che si manifesta con i no perentori e continui. Il secondo elemento è quello della assenza di una classe dirigente pensante in grado di essere riconoscibile dal grande pubblico.
Io credo, tuttavia, che nel mondo ecologista ci siano grandi potenzialità inespresse e possibilità da giocare soprattutto nelle partite politiche di questi anni. Penso che la strategia migliore da perseguire, come primo mattone nella costruzione della casa, per il variegato mondo ambientalista italiano sia quella di proporsi con alleanze locali con quelle liste civiche che hanno in se sensibilità ambientaliste, ma anche il desiderio di contribuire a ridisegnare le città e la qualità di vita nelle città. Penso poi che l’abbandono di ogni estremismo ecologico e la costruzione di programmi fatti di SI rispetto a dei semplici NO sia un tassello fondamentale per recuperare credibilità, anche per proporre non la “decrescita felice”, ma una crescita diversa, fatta di nuove tecnologie al servizio di una industria pulita, energia rinnovabile e quindi giocarsi la partita anche dei nuovi diritti e contribuire all’abbattimento delle diseguaglianze.
La strada aperta dai Grünen tedeschi è tracciata. Il loro europeismo è un elemento basico e un segnale chiaro al non aver mai ceduto di fronte a nessun populismo. Speriamo facciano scuola anche tra di noi.
Roberto Molinari, Direzione Provinciale PD Varese
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